Situazione alle 19.55

Oggi ho visto, nell'ordine: l'odore dell'erba bagnata appena tagliata, due gradini di granito bianco, un saluto, il sole, una porta di quelle con il vetro lavorato in mezzo, delle ciliegie, un'agenda, una voce di quelle che anche in due ne fanno una, loro, l'insalata, braccia forti, l'attinenza, Fabiana, Edward Norton, Virzì e Ozpetek, dei testicoli, un uomo con gli occhi sulle tempie, una donna con gli occhi a tempesta, un fulmine, una freccia, uno starnuto e dell'oro, e son solo le 19.55...

Certe notti fatte così

Ci sono notti fatte così. Quelle dove vai a dormire ma poi anche no. Di quelle che passi con lo sguardo tramutato in dito i contorni delle ombre che la luna ricama sul pavimento vicino al letto. Poi esci, così, come così sono certe notti. E guardi. La guardi. Ascolti. Stai lì. Nulla. Quel nulla bello però. E tiri là. Tiri giorno. Fai la doccia, ti cambi, uno sguardo alla valle ed esci: le 5.55. Cammini. Nulla, anche se è più un nulla pigro. Arrivata ai parcheggi mi sono accorta di aver dimenticato le chiavi dell'auto: torno indietro. Rifaccio le stesse vie, sono le 6:03. Non è più un nulla addormentato ma un qualche cosa fatto di suoni di sveglia, di musica di sottofondo, di asse da taglio che cade nel lavandino, di acqua che cola da vasi appena annaffiati, di buongiorno bisbigliati e cuccioli di cane che non han voglia di camminare. Oggi è stato un giorno così, di quelli dove il nulla riempie, di quelli in cui starei ore con il dito a ripassarne i contorni...

Miraculi – Tèâtre Senza #faigirarelacultura

Miraculi è uno spettacolo andato in scena il 15 luglio al Teatro Sociale di Bellinzona del gruppo Thèâtre Senza, una compagnia internazionale basata a Parigi e formata da ex allievi di Jaques Lecoq. Si parla di Lampedusa: la porta d’Europa dove pescatori, turisti, migranti, sommozzatori, bambini, militari e cani condividono la stessa realtà. La lingua parlata è un po’ il francese, un po’ l’italiano, un po’ la nostra e un po’ quella degli altri, dove non conta cosa vien detto ma ciò che arriva di là dal palco, in mezzo al pubblico, e quello arriva sempre, a differenza dei migranti. Per raccontare ciò gli attori si avvalgono della forza scenica per antonomasia: l’intenzione, dove tutto diventa possibile.

Un cubo nero ora è nave, ora scoglio, ora Madonna, ora base militare, ora poltrona, ora obitorio. Una maglietta trasforma il migrante in militare, in venditrice, in Maria o in Salvatore. Un cono di luce diventa una soffocante stiva, un’altra il fondo del mare. Uno squillo, un telefono, e due parole che fanno già una storia. Una mano, uno sguardo oltre la rete, una foto, una conchiglia trovata e chi, in questo luogo, cerca di vivere anche se sta per morire, e non sto parlando solo di chi arriva ma anche di chi in quel luogo ci è nato.

Poi ci sono coloro che qui approdano non per posizione geografica o origine ma per vacanza: i turisti. E chi invece per lavoro: i militari. Ciò che propone la compagnia è un mix di immagini e realtà talmente assurde da trasformare “La Porta d’Europa” in un buco attraverso cui è possibile guardare per vedere contemporaneamente diversi mondi paralleli: così diversi e così distanti ma per un istante uniti, a volte intrecciati. Una pièce sicuramente interessante ricca di vita, morte e persone, condita con i miracoli in cui si continua a credere, malgrado purtroppo non possano accadere.

(recensione pubblicata su Timmagazine). 

CON-DIVISIONI: segmenti di tela pronti a germogliare

L'11 giugno si è svolto a Ligornetto l'evento CON-DIVISIONI. Sette artisti si sono ritrovati per un pomeriggio a lavorare su una tela di 10 metri di larghezza per 1,6 di altezza, condividendo non solo il momento ma persino tratti, segni, gesti e intenzioni, lasciando alla composizione la possibilità di manifestarsi da sé come risultato di un insieme. Prima di partire ci siamo chiesti se il tempo a disposizione sarebbe stato sufficiente (4 ore), ma poi la voglia di iniziare ha lasciato il dubbio sospeso nell'aria, ormai dimenticato. Dopo appena un paio di ore non esistevano già più spazi bianchi: tutto era stato dipinto e composto. Da quel momento l'approccio alla tela è stato diverso: abbiamo iniziato a danzare con lei. Un'aggiunta di colore qui, una forma là, una scritta, un bagliore, un volto, una parola, un gesto: tutto in un passo a due che in verità era un passo a mille, ma tutti talmente uniti da non distinguere più le forme singole. Già, perché in questa danza sono stati coinvolti anche i presenti, che in un continuo flusso di andare e venire hanno dato vita a una brezza creativa ed emozionale intensa: ossigeno puro per mente e cuore. 

Ora la tela è stata tagliata, e i segmenti verranno presto inviati a coloro che ne hanno precedentemente acquistato un pezzo senza sapere quale di questi gli sarebbe stato assegnato, in uno spirito di disponibilità e apertura estrema all'altro. Sono piccoli pezzi ma in cui in ognuno è racchiusa la forza e il potere dell'intero, di ciò che è stato vissuto e condiviso, costruito e donato, dove per rievocare tutto ciò sarà sufficiente posarvi sopra lo sguardo, e iniziare a danzare con lei.

Sotto sono riportati alcuni dettagli presi dalla tela intera, che non corrispondono necessariamente a segmenti tagliati. È ancora possibile acquistarne un pezzo: eventualmente gli interessati mi contattino via mail a info@giada.ch o al numero telefonico 079 351 65 74. Ricordo che il ricavato andrà devoluto in beneficienza al SAM Mendrisiotto. Per leggere il concetto della giornata CON-DIVISIONI, vai alla pagina dell'evento.

Gli artisti che hanno partecipato alla performance: Giada Bianchi (io), Hildegard Schweizer Brenni, Gabriela CarbognaniMicha DalcolAl FadhilManuela Petraglio, Gianmarco Torriani.

Quella cosa degli autogrill al mattino presto

C'è una cosa degli autogrill al mattino presto che riassumerei con: fonte. Fiotti di cose, di casi, di storie appena accennate pronte da essere colte e sviluppate, di volti, di sguardi, di parole, gesti e silenzi stropicciati; perché al mattino presto negli autogrill i silenzi sono il limbo del giorno che verrà, sono silenzi sbadigliati. Poi non so ma si sta bene, come in pace col mondo. Sarà che è mattino presto, sarà che è un autogrill oppure che boh ma insomma: si sta bene, davvero bene...

The Floating Piers: l'opera giallegiante #faigirarelacultura

È una cosa che bisogna fare. Bisogna, oddio, effettivamente bisogna è un parolone, ma lo consiglio vivamente. The Floating Piers è l’ultima installazione di Christo e Jean-Claude: tre chilometri di pontili galleggianti ricoperti di giallo cangiante che si snodano da Sulzano a Montisola e tutt’attorno all’isola di San Paolo, sul lago d’Iseo. E in più c’è la gente. Tanta gente. Moltissima gente. E per fortuna! Cioè: una cosa così deve essere vista dalla maggior quantità di persone possibile. È meravigliosa questa massa di individui accalcati sulle passerelle senza magari saperne bene il perché; ma ci sono, e ci stanno, e lo fanno: guardano e vedono.

Guardano come un luogo che non è più un posto possa diventare un sogno concreto su cui camminare. Quindi ci stanno, vanno e lo fanno: ascoltano. Tendono tutti i canali percettivi e lasciano che la realtà cancelli la sensazione di inganno, perché è proprio questo ciò che sembra di primo acchito: non vero, impossibile. Poi però ci metti su un piede e senti l’ondeggiare del lago, metti su l’altro e ti fermi perché non puoi fare altrimenti se non sentirti lì, parte di quella cosa. E le scarpe si scalzano da sé: diventa un bisogno. Ad ogni passo una carezza fra la pianta del piede e la pelle del serpente giallo; ogni piega una ruga e tu un neo posizionato con cura in questo volto intrigante su cui infine ti sdrai, e te lo ritrovi ovunque.

È un ovunque composto dal cielo che rimanda il riflesso di ciò che vede, dall’alto; sotto il ritmo del lago disegna la forza e solidità della struttura fissata al fondo e la quantità d’acqua posta nel mezzo; da un lato la terraferma allunga le dita desiderosa di intrecciarsi alle tue, mentre dall’altra la tenerezza dell’abbraccio colorato che avvolge l’isola di San Paolo entra e va dritta lì, nel cuore. E allora chiudi gli occhi e le chiacchiere della gente attorno si trasformano in quel sussurro delle cose vissute raccontate la sera, poco prima del tramonto, quando la luce diventa oro e l’aria fresca inizia a sfiorare accaldate pelli. Poi ti rialzi e continui a camminare in quella estasi capace di far riaffiorare i ricordi, portando a galla quel modo che si aveva da bambini di guardare al mondo con stupore come se ogni cosa fosse nuova anche se nuova lo era davvero… ed ecco, ora per un istante vedi, e ogni cosa torna magicamente ad essere nuova, anche se nuova ormai non lo è più.

L’installazione The Floating Piers di Christo e Jean-Claude sarà visitabile fino al 3 luglio 2016.

(recensione pubblicata su Timmagazine)

#Paperlife engadinese

Ecco tornare sul mio profilo Instagram il progetto #Paperlife, questa volta ambientato in Engadina, suddiviso in tre serie (per ora ne ho pubblicate due ;-)).

Serie Point

Unisci i punti da 1 a 2016, e otterrai l'immagine dell'Alta Engadina.

Punto Nr.1: Pontresina.

Punto Nr. 2 e 4: Plaun Da Lej

Punto Nr. 7: Madulain

Punto Nr.13: Samedan.

Punto Nr.22: Sankt Moritz

Punto Nr.25: Silvaplana

Punto Nr.30: Bevers.

Punto Nr. 79: La Punt-Chamues-ch

Punto 458: S-chanf

Punto Nr. 619: Sils.

Punto Nr. 1285: Zuoz.

Punto Nr. 2016: Celerina.

Serie Here and now (qui e ora)

Giorno 1: Sankt Moritz. Buongiorno! Colazione al profumo di pino cembro e cose buone.

Giorno 1: Lej da Staz, Celerina. Le acque del lago sono nere in quanto si trovano su una torbiera (e nel frattempo il mio cane pesca il pranzo ;-))

Giorno 1: L'Engadina è un altopiano in grado di offrire panoramici sentieri per tutti, dalle famiglie ai più esperti, per mountainbike, biciclette, trekking e, in inverno, anche per ciaspole e sci, sia da fondo che da pista.

Giorno 2: Lej Nair. Questa foto non sarebbe una #paperlife perché non avevo con me della carta, ma resta un autentico "Here and (snow) now" scatto ;-).

Giorno 2: Lago di Sankt Moritz. Oggi è un giorno duale: i colori sono bianco o nero, montagne e lago, pioggia e neve, primavera e inverno, paper and life.

Giorno 3: Spinas, Bever. Quando si cammina in questi boschi, si possono ascoltare storie di gnomi e fate.

Giorno 3: Bernina. Quando si è in presenza dei Signori della Montagna, si può solo stare in silenzio (Pizzo Bernina, 4'049 msm).

Giorno 3: Sils/Segl Baselgia. Quando il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche arrivò a Sils disse "Credo di aver trovato la terra promessa".

Con-divisioni

Una performance artistica a più mani, una giornata evento da non mancare!

11 giugno 2016

CONCETTO:

La condivisione è prendere una parte di sé e lasciare che si unisca ad altre formando un’identità nuova, diversa dal suo principio ma simile, unica anche se composta da più unicità. Se il “con” unisce il “dividere” separa, e sarà proprio questo lo spirito della giornata dove gli interventi prima si uniranno per divenire a loro volta separati, in un moto continuo fra singolo e insieme, fra piccolo e grande, fra pezzi e intero… come un respiro, come qualche cosa che prende vita.

PERFORMANCE:

Alcuni artisti (persone che indagano e si indagano attraverso l’espressione artistica) si metteranno in gioco per creare un’opera comune. Sarà messa a disposizione una tela di 1,5 metri di altezza per 10 di larghezza; l’intenzione non sarà quella in cui ognuno dovrà riempire un segmento ma che stili, tecniche e interventi diversi si uniscano in un’opera singola. 

GLI ARTISTI:

Giada Bianchi @
Hildegard Schweizer Brenni
Gabriela Carbognani @
Micha Dalcol @
Al Fadhil @
max fONTANA @
Manuela Petraglio @
Gianmarco Torriani 

UNA PARTE DI TE:

In questa manifestazione anche gli acquirenti saranno coinvolti in questo ruolo con-diviso. Chi deciderà infatti di comperare un pezzo di tela prima ancora che questa venga eseguita, creerà una sorta di performance nella performance. Acquistando un ticket, che in questo caso corrisponde a un pezzo di tela (due dimensioni a scelta), lascerà a disposizione d’altri una parte di sé, permettendo a quest'ultima di fondersi con l’esperienza. Entro la fine del mese di giugno il segmento dell’opera dalle dimensioni desiderate verrà inviato al legittimo proprietario correlato dal certificato autografato dagli artisti. La scelta del settore della tela avverrà casualmente tramite estrazione, lasciando ideologicamente decidere al dipinto la persona da cui desidera andare. 

VAI ALLO SHOP:

Il ricavato ottenuto dalla vendita delle tele andrà interamente devoluto al progetto SAMBI Mendrisiotto, dedicato alla prevenzione degli infortuni pediatrici operando direttamente con gli allievi nelle scuole dell’infanzia ed elementari, nonché a formare cittadini e aziende alle tecniche del primo soccorso, azioni indispensabili per la sopravvivenza e la qualità di vita della persona colpita, soprattutto in caso di arresto cardiaco.

Tutti gli artisti partecipano alla performance senza ricevere compensi.

Sarà possibile assistere al pomeriggio in cui l’opera verrà creata, periodo in cui saranno aperti anche una mostra collettiva degli artisti e un piccolo bar.

Dalle 16 musica con il gruppo Jazz Lounge Quartet, in serata aperitivo offerto.

LOCATION:

Grazie alla generosità e accoglienza degli attuali proprietari, la performance potrà svolgersi in uno stabile industriale di grande fascino e storia come l'Ex camiceria in Via Mastri Ligornettesi 25, 6853 Ligornetto.

 

ORGANIZZATO DA:

Giada Bianchi in collaborazione con Fabiana Lazzereschi, Tita Lurati e Claudia Carpinelli. 
Video by ck2.

 

CONTATTO:

Giada Bianchi
+41 79 351 65 74
info@giada.ch

Arte e L'arte del fallimento

Un messaggio sul cellulare, più di un mese fa: “vorrei fare una serata con Andrea Fazioli che presenta il suo libro, ti va di accompagnarlo disegnando?”. Risposta: “no, non credo di esserne capace”, a cui è seguita, dopo 5 minuti di ripensamento “ma sì dai, vediamo come va”. D’altronde se non tentavo proprio da Fabiana avrebbe voluto dire non provarci mai. E così giovedì scorso alle 17.30 entro nel suo studio a Chiasso: sole basso, sedie, cavalletto e poltroncina, quindi è tutto vero, quindi non si scappa, anche se avrei voluto (e ci ho provato).

La gente entra, arriva, si piazza, Andrea Fazioli anche. Guardo. Guardano. Loro, io, lui: il trittico del possibile. Vengono distribuiti dei biglietti su cui chiedo ai presenti di riportare una parola che li colpirà nelle prossime letture. Il romanzo è naturalmente l’ultimo di Andrea Fazioli “L’arte del fallimento”: la trama inizia a sgorgare, quindi inizio anche io. Voltarmi, prendere in mano pennelli, pennarelli, disegnare, ascoltare, sentire, dondolare e produrre è stato talmente naturale da farmi sorgere il dubbio che forse, stavolta, di dubbi era il caso di non sollevarne: goditela. E così è stato, in un continuo passaggio tra l’ascolto fuori e l’attingere al dentro, tra il sentire e il veder apparire, tra l’accogliere e il trasformare.

Raccogliamo le parole dei presenti da cui Andrea trae ispirazione per le letture seguenti: vergogna, inadeguato, baratro. Partiamo quindi assieme costeggiando il bordo del baratro dell’improvvisazione, quel vuoto la cui paura di cadervi guida movimenti e pensieri verso l’irripetibile esecuzione che, se sorretta, porta in quel posto in cui si trova sempre inevitabilmente un po’ di musica jazz. E sulle note di “In a sentimental mood” di Duke Ellington & John Coltrane termina la serata, un’esperienza rarefatta illuminata da tinte color blu, che ormai son diventate tinte color del fu: “La fuga, il ritorno, la morte, il fallimento, l’umiliazione, lo scandalo, la paura, tutto era blu scuro. Ma nel fondo del buio del colore c’era la possibilità di un’apertura, di una pazienza improvvisa di sorprese. E allora ecco l’azzurro di un pensiero inaspettato, di una sintonia, quando nel blu apparivano anche la distratta caparbietà di Contini, gli stupori di Lisa o semplicemente la consapevolezza che improvvisare, nella musica e fuori dalla musica, è l’arte di accettare ciò che accade, prima di reagire” (da L’arte del fallimento, di Andrea Fazioli).

P.S.: che poi non era Sentimental mood il brano di chiusura, ma quello di cui mi ricordavo il titolo ;-).

 

Progetto #paperlife su Lugano

Ritaglio la fantasia per ridisegnare la realtà, e la magia appare

Dai tetti delle case si ha una visione migliore della propria città.

Dai tetti delle case si ha una visione migliore della propria città.

La Via Nassa di Lugano si trova nel nucleo storico. Numerose boutique di lusso e raffinate gioiellerie hanno trovato posto in questa elegante via del centro.

Prossima fermata: mare!

Prossima fermata: mare!

Il terminal dei bus della città di Lugano in centro è stato costruito nel 2002 dal famoso Architetto contemporaneo Mario Botta.

Telecamere e riflettori in città... ma chi sarà mai? Angelina? ;-)

Telecamere e riflettori in città... ma chi sarà mai? Angelina? ;-)

Piazza della Riforma è il centro nevralgico della città, su cui si affaccia Palazzo Civico (1844) e numerosi caffè. Ogni anno vi si organizzano molteplici eventi culturali e musicali, tra cui Estival Jazz, LongLakeLugano e la festa di fine anno.

Scava a fondo, e creerai un monte su cui salire.

Scava a fondo, e creerai un monte su cui salire.

Il Monte San Salvatore è alto 912 m.s.m., ed è raggiungibile prendendo la funicolare di Paradiso (costruita nel 1890), o percorrendo uno dei numerosi sentieri panoramici. La sua forma particolare l'ha reso simbolo di Lugano, e si dice porti fortuna.

Anche il turismo celestiale si è modernizzato con smartphone e angelselfie ;-)

Anche il turismo celestiale si è modernizzato con smartphone e angelselfie ;-)

La Chiesa Santa Maria degli Angeli è stata costruita nel 1499. All'interno l'imponente opera "Passione e crocifissione" di Bernardino Luini è il più importante affresco rinascimentale della Svizzera. 

Nella foto Minerva mentre esegue un vincente smash!

Nella foto Minerva mentre esegue un vincente smash!

La Biblioteca cantonale è stata progettata dagli architetti Tami nel 1941, in stile moderno razionale. Contiene circa 300'000 documenti e 1'300 periodici, a protezione dell'italianità. La scultura in bronzo di Minerva sulla facciata principale è un lavoro dello scultore Remo Rossi.

Adoro quando il vento mi scompiglia i capelli...

Adoro quando il vento mi scompiglia i capelli...

Il Lungolago di Lugano è una passeggiata da cui si possono ammirare tra i più bei edifici storici della città e l'incantevole panorama lacustre. Aiuole multicolor, cespugli, alberi secolari e sculture rendono questo percorso ancora più piacevole e interessante.

"Ne resterà soltanto unooooooo (Cit. Higlander)

"Ne resterà soltanto unooooooo (Cit. Higlander)

Nella fotografia è ritratta la scultura in bronzo di Igor Mitoraj "Eros bendato", situata in Piazza dell'Indipendenza. Nel 2002 la Città ha ospitato tra le sue vie 19 sculture monumentali dell'artista, ispirate alla mitologia classica.

Qualche cosa mi dice che questa notte satiri e ninfe hanno fatto festa ;-).

Qualche cosa mi dice che questa notte satiri e ninfe hanno fatto festa ;-).

Il Parco Ciano è stato devoluto alla città di Lugane nel 1912 dai fratelli Ciani. Nei suoi 63'000 metri quadri di terreno si possono trovare specie botaniche esotiche come aiuole colorate e curate nella forma. Il Parco è punto di ritrovo per chiacchiere, relax, giochi e sport.

Quando ascolti musica jazz, la puoi anche vedere.

Quando ascolti musica jazz, la puoi anche vedere.

Il LAC è un centro culturale progettato e costruito dall'Architetto Ivano Gianola nel 2015. Al suo interno troviamo uno spazio espositivo di 2500 mq, una sala concerti da 1000 posti a sedere, diverse sale multiuso e una hall di 650 mq in cui si svolgono diverse attività aperte al pubblico.

 

La visione dell'attrezzo, per #faigirarelacultura

Domenica, sole primaverile, voglia di stimoli e nulla che richiedesse un’immediata presenza lavorativa: la condizione ideale per una passeggiata in Centro con visita alla mostra di Markus Raetz e Aleksandr Rodčenko presso il LAC di Lugano. Colazione, doccia, vestiti e via, ma quando arrivo alla porta decido di tornare indietro e di gettare nella borsa un blocco di carta, un paio di forbici e un pennarello. Tutto lì. Un nulla. E invece… Avete in mente lo sguardo dei ragazzi discoli quando decidono di fare comunella per combinarne una qualcuna? Ecco, uguale: durante il tragitto Pennarello Forbici e Carta devono aver confabulato e raggiunto una sorta di legame di sangue, della serie “Adesso le facciamo vedere noi a quella lì”. E così è stato.

È stato sufficiente uscire dall’autosilo e questi tre hanno preso il sopravvento. Penso “Oh ma che bel panorama” e bzzzz, bzzzz, bzzzz, appare un volto sotto un albero. Mi dirigo in Piazza della Riforma dove stanno allestendo videocamere e riflettori per le interviste post-elezioni del pomeriggio e bzzzz, bzzzz, bzzzz, appare una donnina tutta curve che desidera farsi immortalare. Alzo gli occhi al cielo e bzzz bzzzz bzzzz appare un omino seduto sul tetto con i piedi a penzoloni, e così via, per tutto il tempo. Ho cercato più volte di dire a quei tre di lasciarmi godere in santa pace l’aria fresca primaverile e invece nulla, li sentivo agitarsi dentro la borsa e non mi restava altro da fare che tirarli fuori e farli sfogare un po’. E non è che avessi pianificato nulla, ho solo pensato “prendili su, che si sa mai”.

Già. Si sa mai. Ma basta davvero così poco? E se avessi messo in borsa mestolo e frullino? Avrei cercato di cucinare la città? Credo di sì. Avrei mescolato tetti e frullato il lago a spuma di neve per cucinare un panorama dal gusto irresistibile e dal profumo croccante.

Scalpello e martello? Oh semplice, avrei dato una nuova forma ai profili montani e a qualche nuvola. Con auscultatore e siringa? Forse avrei cercato di ascoltare il ritmo del respiro della città per capire dove iniettare la medicina, foss’anche una dose massiccia di magia.

Con pettine e tinta? Una Lugano chatouche l’avete mai vista? Con zappa e rastrello? Un colpo qui e un colpo là più una bella grattatina alla schiena, sai che goduria! Con filo interdentale e fluoro? Ma sai che sorriso smagliante avremmo ridato alle vie del centro, anche tra le più piccole e strette?

E così via. E questa cosa qui non centra nulla con la storia di guardare la vita da un’angolazione diversa. Ecco. La chiamerò “la visione dell’attrezzo”, quella cosa per cui non serve cambiare posizione ma è sufficiente affrontarla con utensili differenti. E pensate che bello se di serenità, ottimismo, ironia e curiosità ne esistesse la versione da mettere in borsa la mattina prima di uscire di casa e con quei mezzi affrontare la giornata… ma questa è un’altra storia, che va ben oltre il semplice volervi raccontare la mostra di Markus Raetz al LAC, cosa che in verità ho appena fatto ma, ovviamente, utilizzando altri mezzi. (Fino al 1° maggio 2016).

 (pubblicato su Timmagazine).

Quando a parlare è il Silenzio, il pezzo per #faigirarelacultura

Ho partecipato a quattro giorni di Silentium: un ritiro spirituale che più di un ritiro si è trattato di un’espansione. Di quelle grandi. Inglobanti. Di quei “Woom” e ti ritrovi tutto dentro, ma andiamo con ordine.

Sono arrivata sul posto all’ora di cena, occasione in cui si possono conoscere i compagni di avventura in refettorio, tutti seduti dallo stesso lato, in fila, uno a fianco all’altro. Per una volta non ero la più giovane ma anzi, devo dire che mi aspettavo un’età madia più elevata invece ci siamo attestati attorno ai 50: dai 35 ai 60, circa. La prima sera era ancora permesso parlare ma si capiva che non era già più necessario. Poche parole, pochi dettagli: eravamo solo in due alla nostra prima esperienza. E poi a nanna, ognuno nella sua accogliente cella.

Diana. Colazione. Sono entrata in refettorio con la curiosità di scoprire questo taciturno modo di comunicare e mi sono ritrovata davanti sette sorrisi: che meraviglia, già solo per questo sarebbe utile prescrivere il silenzio! Al termine ognuno per la sua strada. Si può fare ciò che si vuole fino all’ora della prima lettura: ce ne sono due, una mattutina e una pomeridiana. Decido di andare nei boschi attorno al convento, luoghi in cui ho praticamente passato gli altri giorni restanti. Sono luoghi magici, e quando dico magici intendo proprio di quelle cose che affascinano, che emanano effetti straordinari in grado di luccichinizzare il tutto. Poi qui la bellezza è in quella giusta misura che ti fa sentire protetto: ti avvolge, la indossi, la puoi stendere sopra te per dormirci sotto in beatitudine e farci pure dei bei sogni, e il tutto restando sempre sveglio.

Mi faccio quindi una bella passeggiata e sulla via del ritorno incontro una Signora “Oh che bello incrociare qualcuno con cui fare quattro chiacchiere”. Ok, ho dovuto mettere per un attimo il silenzio in pausa ma non credo il supremo se la sia presa a male, anzi. A parte questa bolla di parole (per altro poche, da parte mia) per il resto ho vissuto davvero qualche giorno senza profferir verbo, cosa che ha permesso alla comunicazione di esplodere nei suoi più sottili significati.

Come quando sei in mezzo alla natura e la senti manifestarsi in tutta la sua magnificenza e straordinarietà: impiegavo ore per fare pochi metri da tanto ogni cosa riusciva ad attirarela mia attenzione, quasi avesse la necessità assoluta di essere vista o forse ero io che inconsciamente ne bramavo l’esistenza. Un giorno di sole, uno di pioggia, uno con la neve e infine la nebbia: ma quanti “wow” sarò riuscita a pronunciare in quei giorni? A manciate, come coriandoli di stupore gettati all’aria in questa carnascialesca baldoria dei sensi.

Oppure come quando percepisci la differenza dello stare in silenzio da soli o in compagnia. Diciamo che il significato della parola rispetto qui assume una forma diversa, più densa, permanente.

O ancora come quando i pensieri non ti affollano più la mente ma a poco a poco, di loro iniziativa, si mettono seduti lasciando libero il campo all’accadere. Il Silenzio come presenza a cui è bastato presentarsi per imporsi in modo non autoritario ma autorevole: un leader nato dal carisma strabiliante, e forse in questo caso anche un po’ divino.

E il tempo? Che dire di quella sensazione di tornare finalmente ad essere in sintonia con il trascorrere del tempo? Ti volti e lui c’è, è lì, ti guarda dritto negli occhi e ti lancia uno di quegli sguardi che solitamente aleggiano al centro di un gruppo musicale, di quelli utili a capire quando si è tutti pronti ed è ora di iniziare a suonare. Ma lo sapete che il tempo quando scorre giusto emette musica? Giuro! Come mettere un disco alla velocità con cui è stato impresso, condizione che permette persino di ballarci assieme. E sulle note di un incantevole ballo sono giunta alla fine dei quattro giorni, a cui ne avrei aggiunti volentieri ancora un paio giusto così, nella speranza di capire ancora un po’ di più, forse.

E se quando arrivi ti saluti sorridendo quando te ne vai lo fa abbracciando, non solo le persone ma anche tutto ciò che c’è attorno, e sono di quegli abbracci da togliere il fiato, di quelli che anche a poter utilizzare tutte le parole del mondo non sapresti descrivere. Credo sia semplicemente l’abbraccio del Silenzio: una cosa che sa un po’ di montagna e di luce, di fiume e di vita, di tutte le vite.

(Silentium – Convento Santa Maria dei Frati Cappuccini – Bigorio)

(pubblicato su Timmagazine

Percorso artistico personale

PRIMA TAPPA 

Quando mi volto indietro scorgo sempre da qualche parte, a volte in modo evidente altre più nascosto, l'arte. Se però durante la formazione al Centro Scolastico Industrie Artistiche di Lugano la vivevo come una forma d'espressione semplicemente alternativa a quella tradizionale, attorno ai 30 anni le cose cambiarono: restava sì una forma di comunicazione, ma di qualche cosa di cui nemmeno io conoscevo l'esistenza: l'altra me. Sono passati 13 anni da allora e, complice un invito a partecipare a uno scambio d'esperienze su Facebook, ho deciso di presentare il mio percorso qui, suddiviso in sette tappe. Oggi, essendo la prima, vi presento lui: One. Si chiama così perché è la prima tela creata, ed è stata soffertissima.

Mi ricordo ancora tutto alla perfezione: sono entrata nell’atelier di un caro amico artista e accanto al suo trovo ad aspettarmi un cavalletto con sopra posizionata una tela dim. Cm 140x140, con a lato a disposizione tutti i colori del mondo. Ero lì per quello, volevo (dovevo) cominciare, ma in quell’istante mi sono sentita la persona più vulnerabile sulla faccia della terra. Dopo un'ora in cui non riuscivo a schiodarmi dall'impasse ho preso il coraggio fra le mani e via: ho iniziato a piangere! 29 anni e giuro: singhiozzavo come una bambina. Non so cosa sia accaduto o meglio sì, lo so (oggi), ma insomma quei colori erano riusciti a entrare di soppiatto nelle viscere e a rivoltarle completamente, tanto che il bianco è stato l’unico colore che quel giorno sono riuscita (tremando) ad usare. E così ho fatto per mesi. Strato su strato. Solo bianco. Da agosto a dicembre, fino alla notte di capodanno.

Il 31 dicembre ho voluto rimanere a casa sola con lui, perché nel 2004 proprio non ce lo volevo portare: dovevo finirlo. Ho liberato il soggiorno, ho steso la plastica per terra, al centro vi ho adagiato la tela incrostata e via: musica, colori, pennelli, acqua, alcool, sigarette, nomi, situazioni, fatti, paure, desideri, sogni, rimpianti, di tutto… giuro di tutto ci ho messo dentro in quel quadrato di lino fino a quando è arrivato il 5… 4…. 3… 2… 1 e stop, è scoccata la mezzanotte. Tempo di tirare in fretta indietro le mani e “bum”, la porta si è chiusa e quel quadro è rimasto di là, nel 2003. A dire la verità speravo che con lui sarebbero rimaste incastrate nel passato anche le cose che ci avevo inserito ma purtroppo non è stato così. Alcune nel corso degli anni sono svanite, altre a volte tornano e altre sono ancora lì ma non hanno più lo stesso potere: d’altronde se si vogliono avere a disposizione tutti i colori del mondo è necessario prendere anche quelli che fanno più male anche se, a dirla tutta, credo siano stati proprio loro quelli che più di tutti mi hanno aiutata ad uscire dal bianco… 

TAPPA NUMERO 2

Nella tappa numero 1 vi ho parlato del primo passo o meglio, del danno avvenuto; dopo One il percorso era stato intrapreso e non restava che seguirlo, ovunque portasse. Fu così che arrivai alla scultura: se nei quadri inserivo, nelle sculture estraevo. Questa è Alba, la mia prima opera eseguita in marmo d’Arzo nel lontano 2003 durante un corso estivo. Lascio la descrizione al discorso che dovetti tenere all’inaugurazione della mostra, senza aver nulla modificato o corretto. Buona lettura.

Da: Giada Bianchi
A: tutti voi qui presenti.

Arzo, 19 luglio 2003.

Oggetto: Le mie ultime due settimane.

Gentili Signore,
Egregi Signori,

con la presente vorrei dare testimonianza di un’esperienza diretta vissuta durante il corso di scultura indetto dalla ditta Rossi di Arzo dal 7 al 19 luglio ultimo scorso... Ecco, ho voluto cominciare così per dimostrarvi proprio quello che per 2 settimane ho letteralmente dimenticato, la formalità, gli schemi, il rigore, soprattutto il lavoro.

Avrei potuto scegliere fra 2 settimane di vacanza di assoluto riposo in 18esima fila al bagno numero 317 sulla Riviera Adriatica oppure l’ignoto, perché il marmo e la scultura ignoti mi erano sino a 2 settimane fa, ma grazie alle parole incoraggianti e all’entusiasmo trasmessomi da Gabriella ho scelto (per fortuna) la seconda variante.

Devo ammettere che rientrata a casa la sera del primo giorno, la tipica pensione “Admiral” a Milano Marittima mi sembrava un hotel a 5 stelle; almeno li sarei riuscita a prendere in mano il bicchiere senza rovesciare metà del suo contenuto sul tavolo a causa del tremore alle mani. Ma ora, col senno di poi, non posso nemmeno porre un paragone fra le 2 cose.

Il primo sabato c’è stato un incontro sul posto per conoscere i propri compagni di avventura e per trovare il o la propria partner ideale… e così è stato, un colpo di fulmine è scoccato ed ho così trovato il mio partner, forte, deciso, caldo…. Unico inconveniente per presentarlo in famiglia come ipotetico futuro marito era la sua età, in effetti io sono molto più giovane di lui… milioni di anni più giovane… lo chiamo persino “il mio vecchio fossile”, tanto lui non si offende mai, è un pilastro per me, ed è anche molto ricco, ha appena ereditato un patrimonio enorme, di un certo Signor Unesco…

E’ tanto difficile descrivere ciò che ho provato in queste settimane quanto facile… va bé, non esageriamo, facilino per chiunque tentare quest’avventura.

C’è chi è partito da principiante e chi da esperto, o chi come Giovanni si è dimostrato un principiante più che esperto, ma ogni volta che alzavo lo sguardo quello che vedevo riflesso negli occhi dei miei compagni, attraverso mascherine, foulards, cappellini, paraorecchi, malgrado i 30 gradi all’ombra, era la medesima luce, lo splendore della soddisfazione e l’amore verso le proprie opere. Alcuni di noi sono partiti con progetti definiti ed altri si sono lasciati guidare dall’ispirazione, ma in entrambi i casi l’approccio con la pietra è il medesimo, non bisogna mai partire con l’intenzione di dominare, di sfidare e di vincere, ma bisogna recuperare quell’umiltà e quel rispetto che troppo spesso ci dimentichiamo di avere; infatti il marmo è tanto forte quanto fragile, persino lui possiede un’anima, e viene mostrata ad ogni taglio, ad ogni colpo…. Un colore diverso, un quarzo od un fossile nascosto, una crepa invisibile…. Una spaccatura inattesa! E’ durante questa fase di scoperta, di conoscenza che nasce l’amore. Bisogna accettare i limiti di entrambi, mettere in discussione le reciproche possibilità, trovare dei compromessi comuni…  e le sculture qui esposte sono la coronazione di questo amore, un matrimonio lungo una vita.

Vorrei ringraziare a nome di tutti i nostri sacerdoti (per rimanere in tema) che hanno celebrato queste unioni:
- Milena Taneva, scultrice Bulgara che lavora a Carrara dalle poche parole ma eccezionalmente precisa nei fatti…. Un po’ meno a parcheggiare
- Giorgio Morandini, scultore del Friuli, dalle incoraggianti parole e altrettanto eccezionale nei fatti e dalla carinissima moglie.
- Pier Marco Bricchi, scultore di Coldrerio dalle tante… tante.,… tante… tante parole… inutile aggiungere che pure lui nei fatti si è dimostrato eccezionale.  

Non da ultimi ringrazio Oreste e Gabriella Rossi, che permettono ormai da anni di far conoscere ad alcuni e di lasciar approfondire ad altri questa splendida arte. Solo una piccola critica ho da fare nei loro confronti, sul depliant informativo inviatomi a casa c’era indicato “corso di scultura”, bé, dovrebbero aggiungere almeno come sottotitolo che è anche un corso di “plasmatura personale dell’anima”.

Per concludere vi chiedo di guardare anche solo per un attimo le sculture qui esposte tralasciandone il significato (se l’hanno), eliminando il proprio gusto personale e chiudendo l’occhio critico, vi apparirà sicuramente il loro denominatore comune, che è la loro bellezza.

TAPPA NUMERO 3

Il primo quadro l’ho presentato, la prima scultura anche, ora passiamo all’unione dei due: i materici, stile a cui sono giunta per frustrazione. Mi ricordo ancora uno scritto dell’epoca che non riesco più a sbloccare (l’avevo addirittura protetto con password, per dirvi…) in cui dicevo che io “questa cosa” non so se la volevo veramente perché non la sapevo gestire, parlando della creatività. Il voler fare ma non sapere cosa, il voler esprimersi ma non sapere come fino a quando diventava una necessità ma la cui esecuzione rimaneva comunque insoluta: insomma, grandi tormenti.

Poi è capitato che andassi a vedere la preparazione del carro di carnevale di un amico in cui usavano il gesso e bum, è stato amore a prima vista. Inserire le mani nella materia, lavorarla, odorarla, gustarla e sentirla mi permetteva di spegnere il cervello e di fondermi con essa, momento in cui potevo iniziare a ricostruirmi sul pannello (o tela o ciò che avevo a disposizione). La stesura del prodotto è una danza a due paragonabile al movimento dolce, sensuale e deciso a cui ci si abbandona durante le arrampicate in montagna: all’epoca lo chiamavo “il tango dell’ascesa”, e forse è proprio così. Il ballo durava due atti, il primo in cui formavo la materia e l’altro in cui dipingevo, sempre senza pensare, lasciandomi semplicemente andare fino a quando la musica cessava. E accadeva sempre così, improvvisamente, quando guardandosi in faccia capivamo entrambi che ciò che dovevamo dirci era terminato; quindi grazie, arrivederci, è stato bello ma ora basta: avanti un altro…

Nella foto Magma, un bassorilievo in gesso dipinto in acrilico, diametro 2 metri.

TAPPA NUMERO 4

Dopo tele, marmo e bassorilievi, approdare alle sculture in gesso è stato quasi un processo naturale. Di questo materiale mi piace tutto, dalla polvere al colore alla disponibilità, ma la cosa che più di tutte è in grado di toccarmi l’anima è il suo calore, quello vero non simbolico, proprio il calore che si percepisce con le mani durante la solidificazione. Quando lo si mescola con l’acqua, per un suo particolare processo chimico, si scalda. È una cosa meravigliosa: sembra umano, e appoggiarci sopra le mani o la fronte (ebbene sì, a volte mi ci lascio accarezzare) è un bacio al cuore. La descrizione della mia prima scultura in gesso la lascio a uno scritto dell’epoca usato durante un’esposizione.

Titolo dell’opera: Silenzio, gesso altezza 113 cm.

Il desiderio di creare una forma mi ha condotto casualmente a scegliere come tema il silenzio. A questo punto nasce spontanea la domanda: “ma cos’è per me il silenzio? Ha un rapporto diretto con la musica?”.
La musica per conto mio è una conduttrice di pensieri e sensazioni, una sorta di tappeto volante su cui lasciarsi andare e trasportare dal suono, su panorami che nascono attorno a noi dal bisogno attuale di evasione e dai ricordi vissuti, aiutati dall’emozione e dalla velocità data dal ritmo a cui la musica porta.
Il silenzio è qualche cosa di più sottile, di meno tangibile ai sensi ma che da altrettanto trasporto della musica. Più che un fluttuare su un tappeto in mezzo a visioni è un fluttuare nell’Oceano, un essere sospesi in un elemento denso, senza il peso della gravità, dove il trasporto è dato dalle onde e dalle correnti dell’attorno stesso, senza mezzi che ne creano il moto. Questo viene percepito da ogni singola cellula senza però essere definito dal pensiero logico, una sorta di intuizione tattile.
A seguito di questo è nata l’idea che il silenzio non è a se stante ma deriva dall’apice della musica, uno stravolgimento chimico del medesimo elemento, in pratica il silenzio è un’ultra musica, come abbattere la barriera del suono, superarlo, passarci attraverso, andarci oltre.
Il silenzio dunque è trascendente alla musica, ma non per questo separato da essa.

TAPPA NUMERO 5

Eccoci giunti alla quinta tappa evolutiva del mio percorso artistico. Non so se sia stato il processo di trasformazione del gesso a portarmi lì, ma dopo quella tappa approdai alla pittura a olio, che di alchemico possiede proprio tutto. Oggi dipingi, vai a farti la vita, il giorno dopo torni e ti ritrovi davanti un quadro diverso da come l’hai lasciato. Il colore si trasforma. Ne vengono avanti alcuni e altri retrocedono, continuamente, per giorni, o per tutta la vita: in fin dei conti il colore a olio non si ferma mai.

Inutile dire che persino questo quadro fu una sofferenza pazzesca; in quel periodo non stavo proprio bene. E quindi cosa c’era di meglio che mettersi alla prova sperimentando una nuova tecnica? Dei colori a olio non conoscevo nulla se non le esecuzioni finali poste nei musei, quindi ok cominciamo e sperimentiamo. L’odore dei vari medium apre una porta nuova dentro te, ma non un passaggio da percorrere o un pertugio attraverso cui guardare, ma di quelle porte che creano corrente d’aria, di quelle che quando apri fanno effetto camino e tirano fuori la roba vecchia e stantia per sostituirla con ossigeno puro. E così mentre stendi un colore pensando a un effetto te ne passa davanti un altro che fino a quel momento non esisteva, rimasto incastrato nel flusso delle correnti d’aria e che ora ti ritrovi lì, a guardarti fisso negli occhi, e non gira via lo sguardo no, lo sostiene, a lungo, senza arroganza o sfida, ma piantato dritto nei tuoi, e lo sai che non ti sta solo guardando, ma ti vede!, e d’ora in avanti non servirà più a nulla nascondersi perché lui sa dove sei, e anche se scappi prima o poi verrà a prenderti per portarti davanti a quella porta che non hai voglia di aprire ma che insomma, forse è arrivato il momento di cambiare aria anche dentro lì che se no soffochi, un’altra volta…

In questa immagine trovate Passion, olio su tela dim. Cm 120x100.

TAPPA NUMERO 6

Nel giorno 5 vi ho raccontato di come la pittura a olio mi abbia guardata e vista: ebbene, da lì black-out completo. Ho smesso con la pittura e la scultura per un bel po’: anni. Capivo di aver visto qualche cosa di importante ma non avevo ancora i mezzi necessari per affrontarlo. E così ho preferito scappare e nascondermi ma, come detto ieri, lei sapeva dove venire a prendermi, e così è stato. Oggi so che in quel periodo ho avuto l’intuizione di ciò che ero davvero, ma visto che corrispondeva così poco a ciò che mi ero costruita e a ciò che mi circondava ho preferito far finta di nulla. Per fortuna a un certo punto ho trovato il coraggio di avvicinarmi a quella visione e ho ribaltato abbastanza (tutta) la mia vita. E se di vedere si è trattato, ora il vedere doveva apparire. Ecco quindi spiegato il ritorno al figurativo: non un figurativo di copia dal vero, ma un figurativo evocativo. Significa usare immagini come madeleine proustiane in grado di evocare ricordi, emozioni, momenti, storie, persone e tutta quella misteriosa magia che accade quando si aprono cassetti della memoria rimasti sigillati per anni. A volte non so nemmeno il perché di una figura ma va bene così: ora in un’opera non cerco più nulla, perché tanto so che sarà lei a trovare me ;-)

Titolo: Autoritratto, acrilico dimensioni cm 160x100.

TAPPA NUMERO 7

Questo quadro è appena stato dipinto (febbraio 2016) e credo rappresenti un’altra svolta. Ripercorrere in questi giorni ciò che ho fatto in tredici anni mi è servito per riappropriarmi di cose perse durante il tragitto, lasciate indietro più che altro per distrazione o per l’entusiasmo di cose nuove, condizione che a volte calpesta involontariamente vecchie usanze.
Per me dipingere, scolpire o creare, più che cercare uno stile è un sistema di approccio. Non mi interessa molto il risultato finale ma cosa accade per arrivare a quello. Come sono io, come mi pongo di fronte a un altro partire da zero, l’attitudine con cui decido di iniziare. Un po’ come in una performance sportiva, dove prima di affrontare un percorso c’è chi fa stretching, chiude gli occhi e lo visualizza, ascolta musica, si carica o si scarica… dipende, ognuno ha il suo rituale. Ebbene, mi sono accorta che alcuni rituali non li usavo più, e chissà perché. Se certe cose non hanno più alcun potere è giusto lasciarle andare, ma se hanno sempre avuto buon esito, perché non rispolverarle anche se appartenenti al passato? E così nell’affrontare quest’ultimo lavoro ho voluto riesumarne alcuni, la cui presenza la riconosco anche solo in un determinato modo con cui ho steso un colore o fatto un segno, e ne sono felice. Il risultato raggiunto mi sembra ora più coerente con il mio vissuto, più giusto, che poi sia bello o brutto non importa più, per fortuna.

Quadro diario 4 - 10 febbraio 2016 - Acrilico su tela, dimensioni cm 100 x 100

TAPPA NUMERO 8

Questa non è proprio una tappa del mio percorso artistico personale, oppure sì... in fin dei conti ogni esecuzione può considerarsi un punto a sé: una nuova scoperta, una visione differente, una evoluzione rispetto a quanto fino a quel momento eseguito. Nella pagina Canvas Gallery potrete quindi dare uno sguardo allo stile/attitudine di lavoro attuale, in attesa che dal percorso scaturisca una nuova tappa, di quelle in grado di segnare le svolte espressive. Qui sotto invece, un po' di lavori di ciò che è accaduto fra la la settima e la prossima tappa.

Storie di ordinari tragitti

Viviamo ogni giorno immersi in mirabolanti storie mute, la cui voce narrante null’altro è se non la nostra attenzione unita a un pizzico di libertà di pensiero. Prendo per esempio un normale tragitto casa-lavoro. Girate la chiave nella toppa della serratura della porta di casa: cosa vi piacerebbe trovarci dietro? Mille mazzi di fiori lasciati da uno sconosciuto spasimante, un tavolino apparecchiato con caffè e brioche, oppure osate un po’ di più e pensate a un buco nel pavimento che vi porti altrove? Dove? Con chi? Io mentre scendo le scale guardo bene la graniglia, cercando quei sassolini che se uniti formerebbero un disegno. (Continua a leggere il racconto scritto per il blog di Fabiana Lazzereschi).

Quei film che iniziano alla fine #faigirarelacultura

Quei film che iniziano alla fine. Di quelle cose che piacciono a me. Di quelle che vado per curiosità e me ne torno a casa con un bastimento carico (carico) di emozioni e idee, a cui so necessitare almeno una settimana di decantazione per tirarci fuori qualche cosa di utile, foss’anche un pensiero. Dunque: il Museo Vela di Ligornetto quest’anno ha deciso di tenere aperto anche durante la stagione invernale e, per movimentare mostre e luogo, organizza cose. Ma cose belle, intriganti, e questa volta persino temporalmente rivoluzionarie.

Mi siedo nella sala tra statue di gesso e sguardi vivi; la gente affluisce. Partono i discorsi di ringraziamento, qualche spiegazione giusto per offrire un contesto e via: le luci si spengono, la visione del lungolago a inizio ‘900 appare e con lui l’accompagnamento al pianoforte dal vivo. E buuuuummmmm: sono stata travolta da una ventata come se qualcuno avesse tolto all’improvviso il parabrezza di un’automobile in viaggio. Ho fatto un gran respiro dallo spavento ma poi, quando ho capito che si trattava solo di ossigeno in quantità, mi sono rilassata sullo schienale e se ci fosse stata una portiera vi avrei persino appoggiato sopra il gomito, come nei viaggi in cabriolet.

E infatti è così: assistere a un film muto è un viaggio fuori dalla ragione per approdare ai sensi, una cosa che ti fa venir voglia di allungare la mano per sentirne la consistenza: dei sensi intendo, di tutti e cinque (sei). Non ci sono parole, solo immagini e musica. Nulla da capire ma solo sentire, quel sentire che parte dalla punta dei capelli, arriva ai piedi e poi si unisce a quello di tutti gli altri presenti in sala. E a me queste cose sono in grado di generare due lacrimoni grandi così, che naturalmente ho versato. Ma non alla fine dello spettacolo come solitamente accade, quando dalla commozione vorrei entrare fisicamente in ciò che ho davanti (attore, regista, musicista, eccetera), arrampicarmici dentro fino ad arrivargli al timpano e sussurrargli grazie. No, stavolta mi son scesi subito, all’inizio, perché ho capito che i film muti sono spettacoli all’incontrario!

Si inizia piangendo, poi ci si emoziona, ci si appassiona, ci si incuriosisce e infine (che poi sarebbe l’inizio) ci si mette lì, in attesa che tutto accada. E la cosa incredibile è che qualche cosa alla fine inizia ancora per davvero! Cioè quando tutto è terminato sali in automobile, accendi, parti verso casa e dopo un po’ ti ritrovi improvvisamente su una cabriolet, dove se allunghi una mano li senti, i sensi, e se ti concentri un po’ odi pure il rumore del ciak, momento in cui non ti resta null’altro da fare che pronunciare un nuovo: si gira… e Azione sia.

pubblicato su Timmagazine

Pioggia

Perché amo la pioggia, perché da tanto tempo non arrivava, perché il suo rumore mi rilassa, il suo odore mi ispira e la sua freschezza mi contagia. Perché con sé porta messaggi, è altruista e benevola. Poi a volte è vero si infiamma, ma come tutte le cose buone quando decidono di mostrarsi in quantità. Insomma, questo video lo dedico a lei: "ciao pioggia ciao, ti voglio bene" ;-).

Dalla mia finestra vedo... vedo...

Ho una voglia di scrivere del nulla che non immaginate. Tipo “Adesso prendo un foglio e dico velocissimo ciò che vedo davanti a me”. Uno due e tre: “schermo del PC, scritta ‘el mobile’, campanile chiesa, condensa riscaldamento (Giada va che se lo vuoi dire velocissimo le virgole non ci vogliono) (vero!) riflesso lampada ikea Styles temperino al gelato alla vaniglia porta latte Masaba automobili in uscita sullo svincolo lampeggianti blu dell’ambulanza (l’effetto migliorerebbe se tu togliessi persino gli spazi) (vero 2!) pacchettobiscottiametàcuffiettetelefonobloccoaapuntiagendamatitaneraconSwarovski (ok, hai reso… contenta?). Poi però ti si insinuano dentro quelle vocine che ti dicono cose strane tirando in ballo regole di ogni tipo per non parlare di stati d’animo, come se questi ultimi c’entrassero qualche cosa (c'entrano, lo sai) (no) (io dico di sì) (nooohooo)(ribadisco)(ahè). Ok, magari un qualche cosina lo stato d’anima c’entra (d’animo)(no, stavolta ho ragione io); anche se in fondo è poi solo colpa dello shiatzu (shiatzu?)(aspetta…). Cioè, uno va per farsi mettere a posto una determinata cosa e invece bla bla bla e bla da un’altra parte, tipo quando vai a farti fare gli esami per le allergie e salta fuori che sei intollerante alla metà delle cose che adori: poi va a finire che non le mangi più anche se non ti hanno mai dato problemi (ma se tu quell’esame non l’hai mai fatto!) (appunto, pensa se salta fuori che sono intollerante al prosciutto crudo) (c’è di peggio) (ma sai che voragine si formerebbe nel mio frigo?) (esistono ottime alternative) (nessuno può mettere baby in un angolo) (ascoltami: lo Sbrinz) (non pioverà per sempre) (ok, stai facendo i capricci) (nananananananaaaaaa) (oca) (vero, le olive!) (che pazienza…). Questo per dire che non è che mi lascio condizionare ma insomma, le cose che ha detto la Signora del massaggio non erano proprio sbagliate, sono io che non le avevo proprio viste. Così adesso ho deciso che d'ora in avanti mi piazzerò qui e scriverò tutto ciò che vedo per sempre, così non mi sfuggirà mai più nulla (illusa) (arriva lei, la saccentona) (certe cose anche se le hai davanti agli occhi non le puoi vedere) (non è vero, prima ho scritto tutto) (sicura?) (e cosa vuoi mi sia sfuggito? Va be’ la pioggia, la ringhiera del capannone e forse sì, i diciassette lampioni sulla collina) (guarda bene) (mmmh, sì, c’è tutto) (biib, sbagliato) (la polvere sul davanzale?) (no, ma ci sei vicina) (…) (alza ancora un po' di più gli occhi, davanti a te) (ops) (già) (c’è il mio riflesso) (ecco, mancavi tu). Sapete che vi dico? Che questa cosa dello scrivere velocissimo alla fine mi ha messo pure fame (ne avevi anche ieri e ne hai pure già scritto) (#JeSuisSteveJobs #StayHungryStayFoolish), quindi buon appetito: faccio cena.

 

(buon app) (anche a te) (poi però domani basta con ‘sta storia ok?) (io non sono cattiva, è che mi disegnano così) (ok, ciao) (;-))

Il mio ritmo del "vado"

Oggi ho mangiato una mela verde. Nulla di che, se non fosse che l’ultima l’ho mangiata più di due anni fa. Vado a periodi. È una cosa che ha i sui pro e i suoi contro ma se non altro mi dà un ritmo, e vado. Dove? Vado; mi basta. Con il nuovo anno è iniziato un vado diverso. Non so, son quelle cose che inizi smontando l’albero di Natale e ti ritrovi ad aver sgomberato mezza casa. Ho una parete su cui attacco i lavori più significativi: 24 mollette a cui appendere il percorso, la strada, i riferimenti o la stasi o non so, qualche cosa. Ho tolto tutto tranne alcuni lavori fatti da altri e un testo che parla delle tenebre dell’insensatezza, il senso della ricerca e l’abisso della follia: già. Ed ecco. Niente. Era per dire che in questo ultimo lavoro ho voluto rappresentare il momento attuale, l’essermi svuotata di cose che mi sono state utili nel 2015 ma che ora andranno a nutrire altri giardini con altri venti. È che mi ritrovo adesso con una fame di roba nuova pazzesca! Sarà per quello che mi sono mangiata una mela verde anche se credo in questo caso c'entri di più il gesto: un qualche cosa che ha a che fare con l’addentare, o forse meglio un qualche cosa che ha a che fare con l’addentrare... 

 

Una madeleine proustiana che sa di pentola #faigirarelacultura

Nei giorni scorsi mi sono piazzata a casa dei miei genitori giusto così, per far finta di essere in vacanza, anche se un po’ lo sono stata veramente. Non è il luogo in cui sono cresciuta e non vi ho mai abitato, per cui niente “ah quel posto mi ricorda quella cosa lì” o intraprendere quei viaggi nel tempo che alla fine non sai mai dove ti portino veramente. Mi attendeva solo roba tranquilla: libri, tv, cane, lago, champagne (visto il periodo) e grissini (visto il periodo 2). Punto. Finita lì. Fino a quando non mi è venuta fame davvero e ho aperto l’armadio delle pentole. Ricordate i camini di Harry Potter? Ecco, qui non mi è servita la polvere volante, saltarci dentro e pronunciare alcuna destinazione: in un attimo sono stata proiettata nella cucina di legno verde di trent’anni fa, davanti al cassetto ad angolo che le conteneva. Una vetrina girevole di trecentosessanta gradi: una meraviglia! Un’esposizione di preziosi che se Truman Capote avesse visto, Colazione da Tiffany l’avrebbe ambientato lì.

C’era quella bassa e larga con il coperchio pesante e pomello d’oro (zecchino, ci scommetto) usata per le cotture lente, quelle che permettevano la modificazione cristallina di spezzatini e brasati da cui estrarre piatti da incastonare. Quella della stessa serie ma più stretta e alta, dove tonno e piselli o fleischkase e cipolle subivano la metamorfosi del monocristallino per offrire pietanze color rubino. Poi c’era quella del puré, media dal manico nero, quella del risotto, alta e larga con manici e coperchio in acciaio che ovunque la afferravi ti scottavi, poi quella delle uova sode, alta e piccolina con un pizzico d’aceto per fermarne l’apertura un po’ come si fa con lo smalto sui collant smagliati quando non si ha il ricambio. Che dire poi di quella altissima con i manici neri del mezzo chilo di pasta? Ah che gioia vederla apparire sul bancone! E di quella stretta e lunga con il doppiofondo a buchi usata solo un paio di volte? Vi prese vita un super gnoccone che una volta tagliato portava in superficie filoni d’argento a cui noi, felici esploratori, restava solo il compito di estrarre e immagazzinare.

Tutto questo comunque nulla poteva in confronto a lei, al cui cospetto persino il diamante blu della corona bavarese si sarebbe inchinato: la teglia rossa! Dicono che lo stesso Pininfarina si ispirò a lei per progettare la Ferrari. Acciaio puro smaltato rosso all’esterno, bianchi gli interni. Aerodinamica spaziale per permettere il perfetto circolo dell’aria nel forno, attraverso le cui nubi di fragranza sembra qualcuno vi abbia visto l’immagine di Cristo (all’ultima cena, ovvio). L’eleganza e maestria con cui riusciva a parcheggiare anche nei laterali più stretti, fra un centrotavola e l’altro, ha sempre ammutolito i presenti, silenzio per altro necessario ad accogliere degnamente il pilota eccelso al volante di tale bolide. Mormorii scesi, motore spento e attenzione alle stelle, ora la portiera poteva aprirsi: tacco a spillo bianco, gamba nuda fino alla coscia. Ne scendeva sempre lei, l’unica in grado di valorizzare appieno la tecnologia offerta dalla teglia. Fiera e maliziosa sui suoi tacchi da dieci centimetri (almeno) lanciava uno sguardo a destra, uno a sinistra, in attesa che i vapori fuoriusciti dalla metropolitana ne riuscissero ad alzare il vaporoso vestito: “oooohhh”, ed ecco la Marilyn Monroe della mia infanzia che si adagiava delicatamente nel piatto. Sono sicura che se Andy Warhol avesse assaggiato questo piatto gli avrebbe dedicato una serie di serigrafie; l’icona indiscussa degli anni ‘70: le lasagne di mamma.

Pubblicato su Timmagazine

Progetto Quadri diario

Testo del 27 dicembre 2015:

A fine anno c’è chi fa buoni propositi, chi taglia rami secchi, chi nulla e chi tutto. Io solitamente oscillo fra due cose, o mi ammalo o cambio modo di dipingere. Non so come mai. Accade. E quest’anno non mi sono ammalata. Son di quelle cose che esco a fare la passeggiata con il cane torno a casa e uso pennelli e colori come mai fatto prima. Posseduta? Non so, anche se il motivo credo stia solo nel pensare meno, o in modo diverso. Quest’anno ho deciso di sfruttare la cosa e trasformarla in progetto. Voglio creare dei quadri diario. Ora sono ancora in fase sperimentale e l’approccio è fresco, ma ne vedo già l’evoluzione.

Si dice che ogni persona sia un giardino da coltivare affinché le farfalle di cui necessita possano giungere. Sulla base di questo pensiero racconterò su tela cosa accade nel mio giardino attraverso dei simboli. Vorrei farne uno per settimana, ma mi rendo conto che l’impegno sarebbe notevole. Diciamo che ci provo, almeno per un po’. Sarà un esperimento per capirmi e coltivarmi non solo in senso metaforico. Poi l’idea di creare un dizionario dei simboli made in me stessa mi piace ultra, e alcuni di questi elementi prenderanno vita fisicamente per essere venduti. Vediamo. Qui nel frattempo vedete il primo esperimento, quello che ha segnato la svolta. I fiori scelti hanno un significato, come pure la luna e i rami degli alberi che appaiono. I simboli resteranno sempre bianchi in quanto è il colore somma di tutti gli altri, come ogni individuo è il risultato di ciò che è. Emozioni e sentimenti li riporterò nell’atmosfera, nell’attorno, luogo in cui si riflette tutto ciò che facciamo e siamo, filtrato da chi riceve e rimanda. In questo quadro nell’atmosfera ho scritto ciò che sentivo, mentre in uno che ho fatto in seguito la scrittura non rientra già più; non è detto però sia abbandonata definitivamente.

Questo dipinto in verità non lo reputavo ancora finito, ma poi ho capito che proprio il fatto di rimanere incompiuto è ciò che gli ha messo la parola the end. Titolo: stasi. Le dimensioni sono 120x100 cm, acrilico su tela. Il progetto lo vorrei però incentrare sulla forma quadrata 80x80 (forma e dimensioni hanno il loro perché). Questo non impedirà di averne rettangolari o rotondi ma, così dovesse essere, sarebbe per un motivo e significato ben specifici. Ecco, questo è il nuovo percorso che mi sono prefissata per il nuovo anno, curiosa di capire dove mi porterà...

Testo del 28 dicembre:

Ieri vi parlavo dei quadri diario, il nuovo progetto che svilupperò nel corso del 2016, o almeno fino a quando lo reputerò "consumato". In questi giorni sto eseguendo delle prove, che inserirò in questa pagina del blog, aggiornandola. E così oggi vi presento 12/28/15, il dipinto che rappresenta la mia pagina di vita dell'ultima settimana. Sempre acrilico su tela, sempre dim. cm 120x100. Sotto questa immagine trovate invece quanto scritto ieri e il primo dipinto che ha segnato la svolta. A presto :-).

Testo del 29 dicembre:

Ed ecco l'ultimo quadro diario di prova. In questo caso ho voluto rappresentare un giorno, l'11 ottobre del 2015, in cui è accaduto un fatto che mi ha impressionata. Bene, dal 2016 quindi si parte sul serio con questo progetto: evviva :-).