Percorso artistico personale

PRIMA TAPPA 

Quando mi volto indietro scorgo sempre da qualche parte, a volte in modo evidente altre più nascosto, l'arte. Se però durante la formazione al Centro Scolastico Industrie Artistiche di Lugano la vivevo come una forma d'espressione semplicemente alternativa a quella tradizionale, attorno ai 30 anni le cose cambiarono: restava sì una forma di comunicazione, ma di qualche cosa di cui nemmeno io conoscevo l'esistenza: l'altra me. Sono passati 13 anni da allora e, complice un invito a partecipare a uno scambio d'esperienze su Facebook, ho deciso di presentare il mio percorso qui, suddiviso in sette tappe. Oggi, essendo la prima, vi presento lui: One. Si chiama così perché è la prima tela creata, ed è stata soffertissima.

Mi ricordo ancora tutto alla perfezione: sono entrata nell’atelier di un caro amico artista e accanto al suo trovo ad aspettarmi un cavalletto con sopra posizionata una tela dim. Cm 140x140, con a lato a disposizione tutti i colori del mondo. Ero lì per quello, volevo (dovevo) cominciare, ma in quell’istante mi sono sentita la persona più vulnerabile sulla faccia della terra. Dopo un'ora in cui non riuscivo a schiodarmi dall'impasse ho preso il coraggio fra le mani e via: ho iniziato a piangere! 29 anni e giuro: singhiozzavo come una bambina. Non so cosa sia accaduto o meglio sì, lo so (oggi), ma insomma quei colori erano riusciti a entrare di soppiatto nelle viscere e a rivoltarle completamente, tanto che il bianco è stato l’unico colore che quel giorno sono riuscita (tremando) ad usare. E così ho fatto per mesi. Strato su strato. Solo bianco. Da agosto a dicembre, fino alla notte di capodanno.

Il 31 dicembre ho voluto rimanere a casa sola con lui, perché nel 2004 proprio non ce lo volevo portare: dovevo finirlo. Ho liberato il soggiorno, ho steso la plastica per terra, al centro vi ho adagiato la tela incrostata e via: musica, colori, pennelli, acqua, alcool, sigarette, nomi, situazioni, fatti, paure, desideri, sogni, rimpianti, di tutto… giuro di tutto ci ho messo dentro in quel quadrato di lino fino a quando è arrivato il 5… 4…. 3… 2… 1 e stop, è scoccata la mezzanotte. Tempo di tirare in fretta indietro le mani e “bum”, la porta si è chiusa e quel quadro è rimasto di là, nel 2003. A dire la verità speravo che con lui sarebbero rimaste incastrate nel passato anche le cose che ci avevo inserito ma purtroppo non è stato così. Alcune nel corso degli anni sono svanite, altre a volte tornano e altre sono ancora lì ma non hanno più lo stesso potere: d’altronde se si vogliono avere a disposizione tutti i colori del mondo è necessario prendere anche quelli che fanno più male anche se, a dirla tutta, credo siano stati proprio loro quelli che più di tutti mi hanno aiutata ad uscire dal bianco… 

TAPPA NUMERO 2

Nella tappa numero 1 vi ho parlato del primo passo o meglio, del danno avvenuto; dopo One il percorso era stato intrapreso e non restava che seguirlo, ovunque portasse. Fu così che arrivai alla scultura: se nei quadri inserivo, nelle sculture estraevo. Questa è Alba, la mia prima opera eseguita in marmo d’Arzo nel lontano 2003 durante un corso estivo. Lascio la descrizione al discorso che dovetti tenere all’inaugurazione della mostra, senza aver nulla modificato o corretto. Buona lettura.

Da: Giada Bianchi
A: tutti voi qui presenti.

Arzo, 19 luglio 2003.

Oggetto: Le mie ultime due settimane.

Gentili Signore,
Egregi Signori,

con la presente vorrei dare testimonianza di un’esperienza diretta vissuta durante il corso di scultura indetto dalla ditta Rossi di Arzo dal 7 al 19 luglio ultimo scorso... Ecco, ho voluto cominciare così per dimostrarvi proprio quello che per 2 settimane ho letteralmente dimenticato, la formalità, gli schemi, il rigore, soprattutto il lavoro.

Avrei potuto scegliere fra 2 settimane di vacanza di assoluto riposo in 18esima fila al bagno numero 317 sulla Riviera Adriatica oppure l’ignoto, perché il marmo e la scultura ignoti mi erano sino a 2 settimane fa, ma grazie alle parole incoraggianti e all’entusiasmo trasmessomi da Gabriella ho scelto (per fortuna) la seconda variante.

Devo ammettere che rientrata a casa la sera del primo giorno, la tipica pensione “Admiral” a Milano Marittima mi sembrava un hotel a 5 stelle; almeno li sarei riuscita a prendere in mano il bicchiere senza rovesciare metà del suo contenuto sul tavolo a causa del tremore alle mani. Ma ora, col senno di poi, non posso nemmeno porre un paragone fra le 2 cose.

Il primo sabato c’è stato un incontro sul posto per conoscere i propri compagni di avventura e per trovare il o la propria partner ideale… e così è stato, un colpo di fulmine è scoccato ed ho così trovato il mio partner, forte, deciso, caldo…. Unico inconveniente per presentarlo in famiglia come ipotetico futuro marito era la sua età, in effetti io sono molto più giovane di lui… milioni di anni più giovane… lo chiamo persino “il mio vecchio fossile”, tanto lui non si offende mai, è un pilastro per me, ed è anche molto ricco, ha appena ereditato un patrimonio enorme, di un certo Signor Unesco…

E’ tanto difficile descrivere ciò che ho provato in queste settimane quanto facile… va bé, non esageriamo, facilino per chiunque tentare quest’avventura.

C’è chi è partito da principiante e chi da esperto, o chi come Giovanni si è dimostrato un principiante più che esperto, ma ogni volta che alzavo lo sguardo quello che vedevo riflesso negli occhi dei miei compagni, attraverso mascherine, foulards, cappellini, paraorecchi, malgrado i 30 gradi all’ombra, era la medesima luce, lo splendore della soddisfazione e l’amore verso le proprie opere. Alcuni di noi sono partiti con progetti definiti ed altri si sono lasciati guidare dall’ispirazione, ma in entrambi i casi l’approccio con la pietra è il medesimo, non bisogna mai partire con l’intenzione di dominare, di sfidare e di vincere, ma bisogna recuperare quell’umiltà e quel rispetto che troppo spesso ci dimentichiamo di avere; infatti il marmo è tanto forte quanto fragile, persino lui possiede un’anima, e viene mostrata ad ogni taglio, ad ogni colpo…. Un colore diverso, un quarzo od un fossile nascosto, una crepa invisibile…. Una spaccatura inattesa! E’ durante questa fase di scoperta, di conoscenza che nasce l’amore. Bisogna accettare i limiti di entrambi, mettere in discussione le reciproche possibilità, trovare dei compromessi comuni…  e le sculture qui esposte sono la coronazione di questo amore, un matrimonio lungo una vita.

Vorrei ringraziare a nome di tutti i nostri sacerdoti (per rimanere in tema) che hanno celebrato queste unioni:
- Milena Taneva, scultrice Bulgara che lavora a Carrara dalle poche parole ma eccezionalmente precisa nei fatti…. Un po’ meno a parcheggiare
- Giorgio Morandini, scultore del Friuli, dalle incoraggianti parole e altrettanto eccezionale nei fatti e dalla carinissima moglie.
- Pier Marco Bricchi, scultore di Coldrerio dalle tante… tante.,… tante… tante parole… inutile aggiungere che pure lui nei fatti si è dimostrato eccezionale.  

Non da ultimi ringrazio Oreste e Gabriella Rossi, che permettono ormai da anni di far conoscere ad alcuni e di lasciar approfondire ad altri questa splendida arte. Solo una piccola critica ho da fare nei loro confronti, sul depliant informativo inviatomi a casa c’era indicato “corso di scultura”, bé, dovrebbero aggiungere almeno come sottotitolo che è anche un corso di “plasmatura personale dell’anima”.

Per concludere vi chiedo di guardare anche solo per un attimo le sculture qui esposte tralasciandone il significato (se l’hanno), eliminando il proprio gusto personale e chiudendo l’occhio critico, vi apparirà sicuramente il loro denominatore comune, che è la loro bellezza.

TAPPA NUMERO 3

Il primo quadro l’ho presentato, la prima scultura anche, ora passiamo all’unione dei due: i materici, stile a cui sono giunta per frustrazione. Mi ricordo ancora uno scritto dell’epoca che non riesco più a sbloccare (l’avevo addirittura protetto con password, per dirvi…) in cui dicevo che io “questa cosa” non so se la volevo veramente perché non la sapevo gestire, parlando della creatività. Il voler fare ma non sapere cosa, il voler esprimersi ma non sapere come fino a quando diventava una necessità ma la cui esecuzione rimaneva comunque insoluta: insomma, grandi tormenti.

Poi è capitato che andassi a vedere la preparazione del carro di carnevale di un amico in cui usavano il gesso e bum, è stato amore a prima vista. Inserire le mani nella materia, lavorarla, odorarla, gustarla e sentirla mi permetteva di spegnere il cervello e di fondermi con essa, momento in cui potevo iniziare a ricostruirmi sul pannello (o tela o ciò che avevo a disposizione). La stesura del prodotto è una danza a due paragonabile al movimento dolce, sensuale e deciso a cui ci si abbandona durante le arrampicate in montagna: all’epoca lo chiamavo “il tango dell’ascesa”, e forse è proprio così. Il ballo durava due atti, il primo in cui formavo la materia e l’altro in cui dipingevo, sempre senza pensare, lasciandomi semplicemente andare fino a quando la musica cessava. E accadeva sempre così, improvvisamente, quando guardandosi in faccia capivamo entrambi che ciò che dovevamo dirci era terminato; quindi grazie, arrivederci, è stato bello ma ora basta: avanti un altro…

Nella foto Magma, un bassorilievo in gesso dipinto in acrilico, diametro 2 metri.

TAPPA NUMERO 4

Dopo tele, marmo e bassorilievi, approdare alle sculture in gesso è stato quasi un processo naturale. Di questo materiale mi piace tutto, dalla polvere al colore alla disponibilità, ma la cosa che più di tutte è in grado di toccarmi l’anima è il suo calore, quello vero non simbolico, proprio il calore che si percepisce con le mani durante la solidificazione. Quando lo si mescola con l’acqua, per un suo particolare processo chimico, si scalda. È una cosa meravigliosa: sembra umano, e appoggiarci sopra le mani o la fronte (ebbene sì, a volte mi ci lascio accarezzare) è un bacio al cuore. La descrizione della mia prima scultura in gesso la lascio a uno scritto dell’epoca usato durante un’esposizione.

Titolo dell’opera: Silenzio, gesso altezza 113 cm.

Il desiderio di creare una forma mi ha condotto casualmente a scegliere come tema il silenzio. A questo punto nasce spontanea la domanda: “ma cos’è per me il silenzio? Ha un rapporto diretto con la musica?”.
La musica per conto mio è una conduttrice di pensieri e sensazioni, una sorta di tappeto volante su cui lasciarsi andare e trasportare dal suono, su panorami che nascono attorno a noi dal bisogno attuale di evasione e dai ricordi vissuti, aiutati dall’emozione e dalla velocità data dal ritmo a cui la musica porta.
Il silenzio è qualche cosa di più sottile, di meno tangibile ai sensi ma che da altrettanto trasporto della musica. Più che un fluttuare su un tappeto in mezzo a visioni è un fluttuare nell’Oceano, un essere sospesi in un elemento denso, senza il peso della gravità, dove il trasporto è dato dalle onde e dalle correnti dell’attorno stesso, senza mezzi che ne creano il moto. Questo viene percepito da ogni singola cellula senza però essere definito dal pensiero logico, una sorta di intuizione tattile.
A seguito di questo è nata l’idea che il silenzio non è a se stante ma deriva dall’apice della musica, uno stravolgimento chimico del medesimo elemento, in pratica il silenzio è un’ultra musica, come abbattere la barriera del suono, superarlo, passarci attraverso, andarci oltre.
Il silenzio dunque è trascendente alla musica, ma non per questo separato da essa.

TAPPA NUMERO 5

Eccoci giunti alla quinta tappa evolutiva del mio percorso artistico. Non so se sia stato il processo di trasformazione del gesso a portarmi lì, ma dopo quella tappa approdai alla pittura a olio, che di alchemico possiede proprio tutto. Oggi dipingi, vai a farti la vita, il giorno dopo torni e ti ritrovi davanti un quadro diverso da come l’hai lasciato. Il colore si trasforma. Ne vengono avanti alcuni e altri retrocedono, continuamente, per giorni, o per tutta la vita: in fin dei conti il colore a olio non si ferma mai.

Inutile dire che persino questo quadro fu una sofferenza pazzesca; in quel periodo non stavo proprio bene. E quindi cosa c’era di meglio che mettersi alla prova sperimentando una nuova tecnica? Dei colori a olio non conoscevo nulla se non le esecuzioni finali poste nei musei, quindi ok cominciamo e sperimentiamo. L’odore dei vari medium apre una porta nuova dentro te, ma non un passaggio da percorrere o un pertugio attraverso cui guardare, ma di quelle porte che creano corrente d’aria, di quelle che quando apri fanno effetto camino e tirano fuori la roba vecchia e stantia per sostituirla con ossigeno puro. E così mentre stendi un colore pensando a un effetto te ne passa davanti un altro che fino a quel momento non esisteva, rimasto incastrato nel flusso delle correnti d’aria e che ora ti ritrovi lì, a guardarti fisso negli occhi, e non gira via lo sguardo no, lo sostiene, a lungo, senza arroganza o sfida, ma piantato dritto nei tuoi, e lo sai che non ti sta solo guardando, ma ti vede!, e d’ora in avanti non servirà più a nulla nascondersi perché lui sa dove sei, e anche se scappi prima o poi verrà a prenderti per portarti davanti a quella porta che non hai voglia di aprire ma che insomma, forse è arrivato il momento di cambiare aria anche dentro lì che se no soffochi, un’altra volta…

In questa immagine trovate Passion, olio su tela dim. Cm 120x100.

TAPPA NUMERO 6

Nel giorno 5 vi ho raccontato di come la pittura a olio mi abbia guardata e vista: ebbene, da lì black-out completo. Ho smesso con la pittura e la scultura per un bel po’: anni. Capivo di aver visto qualche cosa di importante ma non avevo ancora i mezzi necessari per affrontarlo. E così ho preferito scappare e nascondermi ma, come detto ieri, lei sapeva dove venire a prendermi, e così è stato. Oggi so che in quel periodo ho avuto l’intuizione di ciò che ero davvero, ma visto che corrispondeva così poco a ciò che mi ero costruita e a ciò che mi circondava ho preferito far finta di nulla. Per fortuna a un certo punto ho trovato il coraggio di avvicinarmi a quella visione e ho ribaltato abbastanza (tutta) la mia vita. E se di vedere si è trattato, ora il vedere doveva apparire. Ecco quindi spiegato il ritorno al figurativo: non un figurativo di copia dal vero, ma un figurativo evocativo. Significa usare immagini come madeleine proustiane in grado di evocare ricordi, emozioni, momenti, storie, persone e tutta quella misteriosa magia che accade quando si aprono cassetti della memoria rimasti sigillati per anni. A volte non so nemmeno il perché di una figura ma va bene così: ora in un’opera non cerco più nulla, perché tanto so che sarà lei a trovare me ;-)

Titolo: Autoritratto, acrilico dimensioni cm 160x100.

TAPPA NUMERO 7

Questo quadro è appena stato dipinto (febbraio 2016) e credo rappresenti un’altra svolta. Ripercorrere in questi giorni ciò che ho fatto in tredici anni mi è servito per riappropriarmi di cose perse durante il tragitto, lasciate indietro più che altro per distrazione o per l’entusiasmo di cose nuove, condizione che a volte calpesta involontariamente vecchie usanze.
Per me dipingere, scolpire o creare, più che cercare uno stile è un sistema di approccio. Non mi interessa molto il risultato finale ma cosa accade per arrivare a quello. Come sono io, come mi pongo di fronte a un altro partire da zero, l’attitudine con cui decido di iniziare. Un po’ come in una performance sportiva, dove prima di affrontare un percorso c’è chi fa stretching, chiude gli occhi e lo visualizza, ascolta musica, si carica o si scarica… dipende, ognuno ha il suo rituale. Ebbene, mi sono accorta che alcuni rituali non li usavo più, e chissà perché. Se certe cose non hanno più alcun potere è giusto lasciarle andare, ma se hanno sempre avuto buon esito, perché non rispolverarle anche se appartenenti al passato? E così nell’affrontare quest’ultimo lavoro ho voluto riesumarne alcuni, la cui presenza la riconosco anche solo in un determinato modo con cui ho steso un colore o fatto un segno, e ne sono felice. Il risultato raggiunto mi sembra ora più coerente con il mio vissuto, più giusto, che poi sia bello o brutto non importa più, per fortuna.

Quadro diario 4 - 10 febbraio 2016 - Acrilico su tela, dimensioni cm 100 x 100

TAPPA NUMERO 8

Questa non è proprio una tappa del mio percorso artistico personale, oppure sì... in fin dei conti ogni esecuzione può considerarsi un punto a sé: una nuova scoperta, una visione differente, una evoluzione rispetto a quanto fino a quel momento eseguito. Nella pagina Canvas Gallery potrete quindi dare uno sguardo allo stile/attitudine di lavoro attuale, in attesa che dal percorso scaturisca una nuova tappa, di quelle in grado di segnare le svolte espressive. Qui sotto invece, un po' di lavori di ciò che è accaduto fra la la settima e la prossima tappa.