A.A.A. soffione dei desideri cerca destinatario

E poi ti volti e lui è lì, a guardarti. Ancora così bello, soffice e intatto: un soffione dei desideri. L'avrà perso qualcuno? È qui per me? Cosa faccio, ne approfitto? E sì che ho passato l'estate a soffiare di qua e di là... sarebbe troppo anche se sì, insomma, qualche cosina ancora in sospeso l'avrei... ma no dai, lo lascio a chi è destinato... anzi, faccio di meglio, lo metto qui... magari qualcuno lo riconosce e capisce che è il suo e allora su forza: chiudi gli occhi, esprimi un desiderio e via... soffia.

Scaletta e Paperetta

P: Ciao, mi chiamo Paperetta, tu chi sei?
S: Sono Scaletta
P: E cosa fai?
S: Faccio salire e scendere gli uomini nel lago
P: Noi utilizziamo le ali
S: Anche l’essere umano le possiede, ma non le usa come voi
P: E come allora?
S: Per capire, stando in volo, in quale lago immergersi
P: Perché, ce ne sono di diversi?
S: Certo! Tanti laghi rinfrescano, il proprio invece scalda
P: E quando lo trovano cosa accade?
S: Che non hanno più bisogno di me
P: Perché?
S: Perché si tuffano

Invio di bagliori

Ieri sono andata online con il sito (ok, si era capito) e moltissime sono state le dimostrazioni di simpatia e affetto ricevute... che dire... grazie :-)! Al pomeriggio ho dovuto camminare un paio d'ore sotto la pioggia da tanta era l'emozione... quindi grazie un'altra volta. Stamattina allora volevo scrivervelo qui quel grazie, ma mi sembrava di una banalità disarmante. Poi però è capitata una cosa e ho capito come fare: la prossima volta che la vostra attenzione sarà attratta da un bagliore, come potrebbe essere il sole che batte sulla finestra di una casa in lontananza, dallo specchietto di una bicicletta di passaggio, dal riflesso di un orologio di metallo o altro, ebbene, quello sarà il grazie vero partito oggi da me finalmente giunto a destinazione. Sì, mi avete proprio fatto quell'effetto lì: grazie, grazie davvero (ok, spediti, ora fatemi però sapere quando arriveranno :-)).

La nascita del mio mondo

Oggi giada.ch nasce sotto il segno del 7, come 7 sono stati i giorni necessari per creare nuovi mondi (o almeno così è Scritto). Poi oggi è il dicias7 del mese di 7mbre, e 7 mesi fa feci la prima telefonata che mi indirizzò sulla strada dell’online. Poi giada.ch ha 7 lettere, la prima tabellina che ho imparato da piccola era (indovinate) proprio quella del 7 e ancora oggi per contare i gruppi vado di 7, 14, 21, 28. Il numero 7 ha anche un sacco di significati esoterici e mistici: male non fa. Poi 14 (7 per 2, ovvio) sono le attività che troverai in giada.ch; ecco quindi una sorta di bignami www:

  1. Blog: in primis offro i miei pensieri, ciò che vedo, raccolgo e faccio.
  2. Produco materiale (scritti, immagini, disegni) che può essere utilizzato da chiunque (privati, aziende, enti) per creare pubblicazioni online (blog, social network, siti) o cartacee.
  3. Credo nel potere del racconto emozionale applicato a contesti inusuali, come ad esempio ad un cantiere, un progetto, un evento, uno spettacolo, una mostra e molto altro. Utile soprattutto per coloro che vogliono avvicinare un nuovo pubblico a queste realtà.
  4. Naturalmente credo molto anche nel potere del racconto applicato a contesti più ordinari ma con tecniche differenti, come ad esempio attraverso il disegno, la filastrocca, il racconto parallelo, il collage e molto altro. Utile per coloro che vogliono ampliare il proprio target, offrendo contenuti differenziati.
  5. Invento storie. Alcune di queste troveranno sviluppo cartaceo altre rimarranno qui, in forma online.
  6. Elaboro creazioni personalizzate che possono trovare posto su una pagina web, nell’intestazione del proprio profilo social network o sulla parete di casa.
  7. Ambient Story: applico storie a planimetrie, che siano in fase di progettazione, esistenti, disabitate o inventate.
  8. Fantareale: gioco con la realtà creando una sorta di collage bidimensionale/reale.
  9. Carnet maison: rendo “abitati” immobili che attualmente non lo sono, introducendo storie e curiosità ad esempio in oggetti in vendita (utile naturalmente ad agenzie immobiliari), ma potrebbe anche essere casa tua.
  10. Cerco di scrivere bene, nel senso che sto imparando l’arte della calligrafia, tecnica che utilizzerò in tutti i punti fino a qui descritti, come pure per lavori puramente calligrafici.
  11. Posso trasformare in simboli una storia, un fatto, un evento.
  12. Sviluppo album creativi per qualsiasi occasione.
  13. Svolgo attività artistica indipendente, di cui racconterò nel blog.
  14. Volo leggera sull’accadere del mondo.

Se volete scoprire di più visitate sezioni e pagine qui presenti, se invece avete proposte, suggerimenti o domande non esitate a scrivermi perché non ve l’ho ancora detto, ma credo molto anche nel potere dell’incontro :-).

La sensualità dell'autunno

Un pezzo scritto in passato dedicato all'autunno ormai alle porte, la stagione più sensuale delle quattro (n.d.r. testo vietato ai minori di 14 anni ;-)).

"Autunno.Già solo a pronunciarne il nome, se ne può intuire la carica sensuale: A… U… T… U… N… N… O… qual movimento lento e ondoso delle labbra, in grado di richiamare al proprio cospetto il gusto carnale del piacere… quale abilità nel dischiudere la percezione sensoriale, per lasciarla poi scorrere attraverso il territorio, accarezzando colline, rallentando nei boschi, generando fiumi e soffiando per pianure, terminando poi, dove tutto ebbe inizio: tra le labbra di un’incantevole e avvenente Signora. Autunno: null’altro che una Signora generosa capace di inebriare l’uomo con il suo accattivante sorriso, con il suo corpo femminile, provocante quanto basta ad ubriacare anche gli animi più indifferenti.Nei colori del fuoco di cui si vestono le piante ritroviamo l’eleganza, il mistero, quel portamento sinuoso proprio delle persone affette da passione. 

Come la Ginko Biloba, che con la sua slanciata forma, il suo vestito giallo d’oro e quella miriade di vezzosi ventagli ricorda tanto una nobildonna del Nord, ornata di perle e nient’altro, capace di passare, nel tempo utile ad un battito del vento, dalla temperatura glaciale del suo sguardo all’ardore del fuoco animale. Oppure l’Acero Giapponese, che con quell'esile statura, quelle morbide foglie simili ad un tocco vellutato e quel rosso acceso di cui ama truccarsi -un rosso dall’aspetto quasi indecente e volgare- ricorda tanto il fremito di un corpo ancora vergine di una Lolita orientale, pronto a crogiolarsi nel suo più nuovo e misterioso abbandono.
E cosa dire del Kaki, che con il suo ornarsi di gioielli arancioni su quel nodoso corpo ricorda l’appagamento di una vecchia signora che dalla vita ha ricevuto tanto quanto ha dato; tutto l’amore possibile, dalla sua forma più dolce e romantica fino ad arrivare a quella tormentata e straziante, sentimenti assaporati sul corpo di molti uomini. Questo sapore, questo gusto, questa vita, li si ritrova nel frutto di cui lei ama agghindarsi e che ne porta il medesimo nome. Quale aspra sensazione ci si ritrova sui denti e lungo la schiena quando si osa mangiare il Kaki non ancora maturo, non ancora sufficientemente corteggiato e pronto allo scambio; ma qual piacere, quale goduria e delizia quando la polpa zuccherina del raccolto si impossessa della bocca, cola sul mento, gioca con la lingua, prima di venir risucchiata e ingoiata, lasciando sulla labbra un vuoto ora occupato dalla bramosia di averne ancora, e ancora, e ancora.

Più modesta ma non tanto meno voluttuosa è la pianta del Fico, anch’essa padrona di esperienze vissute ma scoperte e costruite con l’unico uomo a cui promise amore. Le sue grandi foglie sembrano mani che hanno accolto, accudito, consolato, lavorato e accarezzato, foglie che nel loro insieme hanno formato un abito che di appariscente non possiede nulla, nemmeno un ricamo che ne possa tradire l’ineccepibile sobrietà, la misurata pudicizia. In autunno, spogliata del suo vestito estivo, l’anziana Signora mostra il suo magro e avvizzito corpo, senza però perdere nemmeno un briciolo di quella dignità che le appartiene, di quell’acquisito decoro capace di trasformare la sua ossuta nudità in un altare di stima, onestà e rispetto. L’unica possibilità di varcare la soglia del suo apparire, ci vien concessa per il tramite dei suoi frutti: i fichi. La buccia esterna ben rispecchia la virtù della pianta madre, ma brandendo i frutti tra le dita, schiacciandone i lati fino al fuoriuscire della carnosa polpa, ecco… ecco finalmente apparire, pronta ad essere gustata, la fondente dolcezza dei momenti più intimi, più segreti, più desiderosi, più avidi di corpo, braccia, mani e lingua, ecco finalmente apparire l'essenza di quei momenti lussuriosi a cui il piacere orale faceva da padrone.

Ci sono i gialli, i rossi e i viola di cui le nostre amabili donne amano vestirsi prima di abbandonarsi a un lungo sonno ristoratore, mentre in superficie resta il verde di quelle piante che, come silenziosi guardiani, veglieranno sul riposo delle belle Signore addormentate. Autunno, una stagione tanto appariscente e libertina all’apparenza, quanto ricca e fertile nel proprio ventre: la terra. Foglie, rami, fiori e frutti caduti al suolo, mischiati a pioggia e umidità, scaldati dagli ultimi e tiepidi raggi del sole, accudiranno e proteggeranno per tutto il periodo invernale i semi della scorsa e della prossima estate.

L’autunno, eccone svelato il mistero; questa stagione è il talamo nuziale in cui la primavera giacerà col cielo, dove speriamo possano godere l’uno dell’altra, e dove confidiamo nell’appagamento d’entrambi; questo perché senza l’amore di oggi non ci potrà essere alcun domani. E fu così che all'apice dell'amplesso, la prima neve imbiancò le montagne…."

Una cosa bella

Che poi io ne sono sicura che TUTTI quelli che hanno letto l'ultimo arrivo di ARBOKgroup alla fine del racconto quella cosa lì sono andati a controllarla veramente (come me). E poi lo ribadisco: 'sta cosa che arrivi a casa guardi in buca e in mezzo alle fatture ci trovi un racconto da leggere durante l'aperitivo o la colazione è una figata pazzesca. Immagino comunque sia una forma adatta persino per il caffè del dopo pasto o la merenda, ma essendo condizioni mai sperimentate preferisco in questi casi avvalermi della facoltà della riserva. Poi dai... è a chilometro zero, non inquina, diverte, rallenta, sostiene e unisce... cioè... ve lo devo proprio dire? Che poi io davvero questi qui manco li conosco (Genetelli a parte... ma ormai chi non lo conosce?), è solo che la trovo una bella cosa, e ecco. E punto.

Il Boléro di Oliviero

Oliviero si alzò come tutte le mattine di buon’ora. Si lavò con cura, fece una leggera colazione e indossò i vestiti da lavoro; il tutto si svolse in rigoroso silenzio e lasciando al neonato giorno il compito di rischiarare l’ambiente. Erano le sei e lui era pronto. Lo specchio appartenuto a sua nonna capeggiava sulla parete a lato della porta. Oliviero prima di uscire vi si fermò di fronte, si guardò a lungo negli occhi e poi più giù, dentro, per testare se ciò di cui necessitava era ancora al suo posto. C’era: uscì. Erano le sei e trenta di una mattinata fresca e serena, dove l’odore di terra del primo autunno si mescolava ai residui di un temporale notturno appena trascorso. Ai piedi dell’orizzonte il Mendrisiotto appena toccato dal sole prese posto e attese come sempre che lo spettacolo iniziasse. Oliviero pose uno guardo alla pianura e chinò leggermente il capo, in segno di saluto. Respirò. Si voltò e si diresse verso Casa Rosalba. Durante il tragitto notò che Arnoldo il fornaio, Fabiana e zia Colette erano già in posizione, mentre degli altri intuì la concentrata presenza. Il portone in legno della proprietà era aperto. Varcò la soglia e si posizionò al centro della corte; Carla la postina gli era accanto. Davanti a lui trovò Miguel, Ottavio, Annalisa e Sebastiano, la famiglia Valsangiacomo al completo, gli ultimi a intervenire. Si guardarono negli occhi: erano sintonizzati, si poteva partire. Le sei e quarantadue. Olivierò estrasse dalla giacca una bacchetta, alzò gli occhi al cielo e diede il via con un leggero movimento del braccio. Carla cominciò a battere sul tamburo “ta taratatatta ta, taratatatta ta, taratatatta ta”, lieve. A inizio paese Arnoldo posizionò il faluto fra le sue labbra e con una leggerezza degna del più soffice soufflè attaccò il pezzo: “fiiiiiiii fi fi fifififififfififiiiiiii fifififififififiiiiii fifififififififififiiiii fifififfififiiiii”. Dall’altra parte della via Costantino il fabbro attese la fine dell’esecuzione prima di iniziare a soffiare nel clarinetto; da Casa Rosalba nel frattempo proveniva costante il suono del tamburo di Carla. A quel punto da corte Soldini sopraggiunse un fagotto, a cui seguì il suono del clarinetto piccolo della Signora Katia, la padrona del B&B ParisCocò le plus chic du monde entier. Dalla piazza della Chiesa Costanzo diede vita al suo oboe d’amore, a cui seguirono Fabiana e zia Colette con tromba e flauto. E poi un sax tenore, un sax sopranino e soprano, poi celesta ottavini e corno, e poi ancora clarinetti oboi e trombone, chi da una corte, chi da una via o chi dalle vigne dietro casa. Oliviero dalla sua postazione continuava e dirigere il sopraggiungere di nuovi strumenti, fino a quando diede spazio ad archi e fiati posizionati proprio alle sue spalle. Mancava poco: diede l’ultimo ingresso alla famiglia Valsangiacomo. Miguel Ottavio Annalisa e Sabastiano si alzarono dalle sedie e archi e fiati già bollenti per l’attesa sbocciarono nel loro splendore. E “taaaaaa taratatatataratattata taratatatta ta” e ancora “taratatatattataaaa taratatattta taaaa”, Carla la postina continuava a battere sul tamburo con orgoglio e convinzione, mentre una lacrima sfuggita alla commozione le rigò il volto. Il suono emanato dagli strumenti sparsi per Besazio salì e si congiunse in un’apoteosi di scintille e magnificenza. Da Casa Rosalba giunse allora il segnale finale e un’esplosione di energia andò a sbattere sulle guance di coloro che ancora dormivano: smack! Erano le sette. E il paese si svegliò. 
Oliviero rimase ancora un attimo in silenzio. Attese che persino l’ultima scintilla si fosse spenta, si ricompose, mise la bacchetta nella giacca e si diresse al lavoro. Aprì il cancello dello stabile e si sedette accanto all’entrata, in attesa. “Taratatarataratattarata taratataratata, taratatarataratarata taratattatara”, i passettini allegri dei bambini cominciarono a tamburellare sull’asfalto, sempre più vicini, fino a quando il primo allievo gli passò accanto pronunciando educato “Buongiorno Signor Bidello”, a cui seguì il secondo, il terzo e così via, ognuno in tono diverso, ognuno con quel suono argenteo e pulito come solo le voci infantili sanno avere: musica per le orecchie di Oliviero, così che anche lui ebbe il suo Boléro.

Guerra di torte in quel di Besazio

Casa Rosalba si trova in un nucleo di paese in cui a volte, come stamane, per le viuzze aleggiano guerre d'odori degne dei più grandi Maître de cuisine. Da Via Ferdiando Bustelli la Signora Rusca lancia per strada le note di una torta al cioccolato che farebbe arrossire Monsieur Lindt; di tutta risposta il Palmiro da Via Chiusa ha rilanciato con una torta di ricotta e fragole che ha risvegliato le voglie sopite di Aldina la sarta, la quale ha messo sul fuoco un bricco di caffè con l’intenzione di suonare alla porta del vicino e chissà…; dalla lontana piazza della Chiesa il parroco alza gli occhi dal rarissimo francobollo La colomba di Basilea, donatagli il giorno prima da una coppia di zurighesi in cambio di un rituale nuziale express, e sferra un colpo aprendo la porta del forno in cui sopiva immacolata una torta di pane corretta con grappa benedettina; a questo punto da Casa Rosalba si è alzata in cielo una vena di squisito odor solenne di torta di zucca la quale, raggiunta l’altezza del campanile, ha iniziato a battere a ritmo cardiaco; a quel punto tutti i cuori del paese si sono sintonizzati all’ascolto, e le colazioni ebbero inizio.

 

RICETTA TORTA DI ZUCCA DI CASA ROSALBA

1 Kg di cubetti di zucca già tagliati
100 gr di farina bianca
150 gr di zucchero
50 gr di burro
2 uova intere
1 pizzico di sale
uva sultanina
1 bustina di zucchero vanigliato

Preparazione:
Fate cuocere i cubetti di zucca in poco latte (giusto per non farli attaccare alla pentola), fino a quando si spappolano; passateli e lasciateli raffreddare (potete anche farlo con la forchetta, basta che si arrivi ad avere una purea). Aggiungete gli altri ingredienti, e otterrete così una pasta molle (dovesse risultare troppo liquida aggiungete ancora un po’ di farina). Imburrate la teglia e passatela con la farina o il pane grattugiato. Versatevi dentro la pasta e cuocere per circa un’ora nel forno preriscaldato a 180°. Spesso ci vuole anche di più, dipende dal forno, fate comunque sempre la prova dello stuzzicandenti. Lasciate raffreddare e…. gustare!

Giorni normali anche se speciali

Oggi è una di quelle date che in teoria dovrei marcare sul calendario, eppure… eppure è come fermarsi per lasciar passare qualcuno sulle strisce pedonali, lavarsi i denti appena sveglia, cambiarsi appena tornata a casa, dire buongiorno alla cassiera, fare di nascosto il dito medio ai maleducati, respirare, aprire una busta recante il mio nome, fare le coccole al cane, ammirare un bel panorama, sorpassare un sasso, dar da bere alle piante, fare benzina, togliersi il mascara la sera, osservare un lampone passare, bere il caffè, amare il blu Merian e il verde Pistache, ringraziare, aver voglia di torta di mele, chiamare un’amica, pensare, piangere e rirespirare, abbandonarsi ai ricordi, scrivere appunti, leggere un fiore, iscriversi a un corso, voler a volte scappare, altre tornare, parlare con qualche Dio e sorseggiare un buon vino, mangiare grissini aspettando l’amore e biscotti durante un bel film… insomma, ora mi sembra una cosa talmente naturale e giusta, da apparire quasi scontata, anche se scontati non sono stati i giorni che mi sono serviti per arrivare fin qui. Bene: da novembre mi metterò in proprio… già… proprio io… in proprio… questo sì che mi fa effetto, un po’ come sgranocchiare un peperoncino mentre infilo i piedi in un lago ghiacciato vestita di giallo indossando un cappello a falde larghe cantando la vie en rose mentre un aeroplanino di carta, passando per caso via di lì, mi strizza persino l’occhiolino… insomma… quelle cose normali da tutti i giorni… e ecco… l’ho detto :-).

Piacevoli consegne

Come una rondine che fa primavera,
annunci la fine dell'estate e della casa che era.
Nuovi colori, fantasie e collezioni,
e la testa si riempie di infinite composizioni.
Soggiorno, cucina, studio e camera da letto,
rinnovarle nel pensiero diventa uno squisito diletto.
Il tuo arrivo è un evento che va degnamente festeggiato,
per questo mi appropinquo ad aprire un vinello prelibato.
Quanto mi sai rendere felice tu non hai probabilmente idea,
e grazie postino, grazie per aver portato nuovamente il catalogo Ikea.

Raku: the end

Ci son cose per cui si è portati, altre meno, ma su alcune proprio sarebbe necessario stendere un velo pietoso. È che questo velo ieri sera si è trasformato in una copertina fitta fitta di risa e allegria. Avete in mente quando vi scoppia la stüpidèra? Ecco. Un contagio immediato ci ha coinvolte tutte e giuro... non ridevo così da secoli. Ma di quelle risa che non respiri più, piangi, ti fanno male pancia e faccia e il contegno se ne va offeso sbattendo pure la porta della decenza. Ma che bello, e che bello andare a dormire e prima di cadere nel sonno scoppietticchiare ancora un po' a ridere, e idem stamane mentre mi pulivo i denti. Insomma, la vita è bella, anche quando il risultato delle tue fatiche è orrendo. Questo è il mio primo (ed ultimo, ovviamente) esperimento di raku, e considerate che sono andata a farlo perché volevo delle nuove tazzine per il caffè super fichissime :-).

Eremo di Monte Giove: una madeleine proustiana bella cicciotta

Di getto scrivo di vacanze appena concluse passate a lasciarsi stupire dalla semplicità dell’accadere, del sorgere del sole al mattino, del perdersi per viuzze deserte, del caldo che appiccica l’allegria, di telefonate per permetterci di fare acquisti fuori orario, di chiacchiere lunghe un pomeriggio e una sera e una notte intera e ancora a bere nel letto al mattino il caffè a raccontarsi la vita osservando un soffitto medievale. E la bellezza di un sorriso e l’eleganza dell’accoglienza, le colline e le distese di ulivi nate per correrci attraverso con la fantasia, il guidare fra le onde di strade a curve che traghettano a parcheggi liberi impossibili da trovare.

E ancora lo sguardo fiero di una moglie di un ceramista, scorci di storia e di sapere, una coroncina di fiori che profuma di spensieratezza, la sfilata di un cesto di lamponi accanto alla Signora in rosso di Gene Wilder, l’ignorare bellamente i disperati appelli di un navigatore mai rassegnato, l’arrivo al Monte, l’ingresso nella bolla, l’accomodarsi a casa, il lasciarsi cullare fra toni e odori. Poi i volti sinceri, gli scambi, gli inchiostri, gli antichi gesti, la luce, la carta, la calma, il sentire il tempo rallentare e i pensieri svanire, i canti, gli inchini, i ringraziamenti e i messaggi beneauguranti, e poi quel saper osservare ma soprattutto vedere, che nulla giudica e tutto accetta. E gli scambi, i timori, i colori e gli svolazzi, per non parlare degli errori che caspita ogni volta si dimentica una lettera ma che poi non importa, ma che poi va bene anche così, sempre. E ancora la luce, il mare, il tramonto e il temporale, le lodi e i vespri e i piedi appoggiati al parapetto per osservare meglio le stelle bevendo in compagnia, per capire che i desideri espressi in fin dei conti sono raggiungibili basta allungare una mano e vedere quella mano alzarsi a cogliere il proprio momento.

Ecco, ora che sono rientrata ho capito che in questa vacanza ho cucinato una madeleine proustiana bella cicciotta a cui spesso tornerò con il pensiero durante l’arco della mia vita futura, perché un punto può anche non essere solo un punto calligrafico, ma può anche avere il sapore di un pasticcino (e dico “pasticcino” come solo una persona speciale sa pronunciare, e che in pochi – per ora - possono capire ;-)).

L'erba voglio esiste davvero

L'erba Voglio è una pianta erbacea a crescita spontanea, perenne e a distribuzione cosmopolita, il cui nome latino è Voglius Possus. Dalle notevoli proprietà curative questa pianta soffre in reputazione a causa del suo abuso perpetrato per anni. Il gusto dolce e bruciante assieme spinge infatti spesso le persone ad ingerirne quantità tali da risultare velenosa, in quanto sviluppa nel corpo la capricciosina, ormone del pianto e dell'urlo isterico, e crea facilmente dipendenza. Un uso però sapiente e parsimonioso della pianta sono di notevole beneficio soprattutto per coloro che soffrono di mancanza di determinazione, in quanto stimola l'apparato grintoso e favorisce la decisione. 

L'aeroplanino è vicino

Arrivi leggero e fugace, sul vento che ormai più non tace,
e io che sono aquilone, osservo volteggiando dalla mia posizione.
È bastato un giorno e un sorriso, un piccolo scambio condiviso,
e “sarà un per sempre iniziato ieri”, ha sussurrato il soffione dei desideri.
Abbandona le ali alla prossima brezza, la strada è lunga e serve una carezza,
coraggio alzati in volo piano pianino, io ti aspetto ma fai presto, mio aeroplanino.

Kit per desideri

Istruzioni per l'uso:
- Stampare l'immagine
- Ritagliarla seguendo il bordo tratteggiato
- Prenderla e tenerla fra indice e pollice della mano sinistra
- Alzare le braccia
- Guardare la stella
- Lasciarla cadere
- Prima che tocchi il suolo, esprimere un desiderio

Insonnia estiva

La sesta. È la mia mente a tenerne il conto, come fosse un rosario da sgranare in cui, giunti alla settima dove il Signore si riposò, speri tocchi finalmente anche a te. Ma no. Stanotte sono state otto le volte in cui mi sono svegliata di una serie lunga settimane ed ora lo ammetto, comincio ad essere un po’ stanchina. Che poi l’insonnia estiva è comunque diversa da tutte le altre: è di una leggerezza spessa. Come se qualcuno ti scoperchia casa per spruzzarvi dentro quintali di gel: ecco, poi tu apri gli occhi in quell’ambiente lì anche se sarebbe meglio dire che non vi dormi, ed è diverso.

Ah, in quel gel però ci respiri, questo bisogna dirlo. Dunque: splash splash splash, ti tiri su dal letto e ti muovi come Neil Armstrong esattamente 46 anni fa sulla luna, però cerchi di fare veloce perché stavolta speri di beccarli gli oggetti di casa che si muovono quando dormi ma non ce la fai, sei assediato dall’ambiente denso! Guardi il cane addormentato in fondo al corridoio ed è diventato tanto enorme da toccare il soffitto, ma poi capisci che è l’effetto lente di quel budino notturno in cui sei immerso. Vista la novità ti sfoghi e cominci a fare facciacce e ombre cinesi ovunque solo per vedere l’esile ombra gigante proiettata sul muro. E già che ci sei ti volti e ti lasci cadere: tanto non hai bisogno di qualcuno che ti tenga perché è come cadere su un materasso, visto che quel materasso ce l’hai addosso. Poi le pirolette.

Avete mai provato a fare le pirolette nel gel? Mi chiamano la Jury Chechi delle tenebre, che fa tanto super eroe ma non è vero, lo fanno solo per prendermi in giro. Però io i salti, le ruote, le spaccate e le rovesciate li faccio davvero nelle notti gelatinose, altrimenti quel soprannome non me lo sarei meritato, no? Ma poi c’è la figata che quel coso consistente lì ti entra in testa e impedisce ai pensieri di svilupparsi, dunque hai il vuoto nel cerebro anche se in verità vuoto non è. E però no dai, qualche cosina ci devo buttare dentro, sai che forma assurda può prendere un’idea in un ambiente così? Ombre folli proiettate sulla volta craniale che basterà solo riportare il giorno dopo in word. Accidenti non resisto: io ci butto dentro il tema dell’insonnia estiva, poi vediamo cosa ne salta fuori, ok? Un due tre: splash…