Mi sono accorta di percepire gli istanti molto tempo dopo che già li coglievo. È stato come se a un certo punto mi fossi resa conto di essere circondata da loro, senza sapere esattamente quando il primo fosse apparso (o tornato ad apparire) nella mia vita. E non ho nemmeno una memoria netta del momento in cui in quegli istanti abbia iniziato a trovarci altro, se non quando ormai con quel “altro” ci dialogavo.
La chiamano cointuizione, ed è quando si ha l'intuizione simultanea sia della realtà sia di qualche cosa che va oltre ciò che vediamo. È come cogliere una parte di mondo e lì dentro trovarci poi altro. È una sorta di intuizione compartecipata con qualcuno o qualche cosa, o una matrioska di scoperte che più entri più trovi cose che però ti portano fuori o meglio: ovunque.
In pratica quando un istante appare, ed essendo egli stesso parte di un tutto molto più grande (un ordine superiore, o armonia universale, o come siete soliti chiamare ciò che vi trascende), in quel momento è possibile cogliere sia l’istante in sé per quello che è, sia ciò che sta oltre (o altrove, o ovunque, o quella cosa lì).
Quando poi mi accade di percepirli entrambi (mica sempre, rare volte), e quindi cointuirli, improvvisamente mi tranquillizzo come poche altre cose riescono a fare. Per questo secondo me gli istanti sono in grado di generare senso di appartenenza e comunità, perché riescono a farmi sentire parte di quella cosa gigante lì e, nel contempo, sentire che quella cosa gigante lì è composta da millemila tesserine, ognuna con il suo preziosissimo e indispensabile posticino, fra cui c’è anche il mio.
Gli istanti sono davvero una risorsa straordinaria per relazionarsi con l’attorno. Quando poi si riesce ad accedervi tramite la cointuizione be’, allora la relazione può trascendere i confini del mondo visibile e arrivare a quell’Oltre di cui non credo di aver ancora capito molto, ma che continua a sussurrarmi cose.
Lieti momenti
Giada