Come ne “il re è nudo”: mi sento un po’ così, stolta e indegna, dopo aver letto le lodi e le recensioni allo spettacolo “Per te” di Daniele Finzi Pasca degli scorsi giorni. Eppure io tutta questa magnificenza non l’ho vista o meglio: l’ho vista ma non sentita. E non è da lui. Daniele ha quella straordinaria capacità di entrare di sottecchi dalla porta dei sensi e sconvolgere il disegno, gettando sul tavolo come fossero dadi le tue difese, il tuo contegno e le emozioni, lasciando vincere queste ultime. Sempre. Ma stavolta no.
Si parla di un giardino in cui però non sono riuscita ad entrare, quindi l’ho potuto osservare solo da fuori. È un giardino pieno di un dolore descritto, divenuto incolto, a tratti confuso, a volte (dio perdonami) kitsch, e persino un po’ (fustigatemi) noioso, ma questo probabilmente sarà perché di spettacoli ne ho visti molti e le ripetizioni si sa, impressionano meno. Julie. Julie c’è, ce n’è tanta, è ovunque, ma è raccontata, e l’effetto è minore. Un po’ come spiegare una barzelletta: l’incantesimo si spezza. È però da questa rottura con l’evocazione e l’estetica pura a cui ci ha abituati da cui si riesce a intravvede il vero dolore, la disperazione, il non riuscire a colmare quel vuoto attraversato ora da un vento impetuoso che tutto scompiglia e nulla lascia chetare, perché dopo certi amori vissuti e strappati ingiustamente all’altro dal destino non può che rimanere questo: un tentativo, un provare ad andare avanti, come si può e come si riesce, in una qualche maniera.
Forse il giardino attraverso cui ci è stata data la possibilità di sbirciare è più quello di Daniele che di Julie, dove armature, paure e debolezze hanno infine messo radici fra i tulipani. È vero, non esistono molti modi per definire la tristezza, ma forse l’hanno fatto apposta per lasciare ad ognuno la possibilità di creare la propria parola, come una che nel contempo voglia dire “rossetto da cui nasce il mondo”, “risata che scorre fra vallate per raggiungere il mare”, “stelle che anche nella nebbia brillano”, e molto altro, che solo lui sa, e come solo lui poteva insegnarci. E se proprio di nebbia dobbiamo parlare, Daniele disse che quando non si hanno più punti di riferimento e non si sa dove andare basta alzare gli occhi al cielo e prima o poi qualche cosa arriva… come la neve, giunta ieri.
Detto questo voglio comunque aggiungere che lo spettacolo è una buona piéce, ma tra quelle viste è quella che mi ha convinta meno. Ciò non toglie che per me Daniele resti il miglior coreografo poeta di sempre, il bene che gli voglio non si è minimamente scalfito e comunque e sempre sarò presente ad applaudire ogni suo giardino, perché come coltiva lui il nostro, solo in pochi riescono.
(foto tratta da www.finzipasca.com)