Il bastimento vivo – Una parola che appare, un modo di abitare il reale

Nel mio lavoro, da tempo esploro un gesto tanto semplice quanto radicale: nominare il reale.

Non si tratta di etichettare, né di descrivere. Ma di accogliere. Di percepire quando qualcosa, nel mondo o dentro di noi, si manifesta emergendo. E quando accade, la risposta arriva sotto forma di parola.

Ma non una parola qualsiasi. Una parola-immagine.

È una parola che non si impone, ma si offre. Come un fiore che sboccia da solo, se trovi il tempo di restare in ascolto. È come una Polaroid che si sviluppa lentamente: l’immagine che compare non è sempre quella che avevi inquadrato ma è quella che riesce, sorprendentemente, a tenere assieme tutto. E tutto quello che avevi osservato, da quel momento, acquisisce un altro senso. Non significato. Senso come direzione.

Le parole-immagini non spiegano. Fanno esistere. Fanno emergere legami, trasformano istanti vissuti in varchi, permettono alla realtà sottile — quella che di solito passa inosservata — di farsi udibile, nominabile, condivisibile.

Un esempio: il bastimento vivo

Qualche giorno fa è apparsa questa parola: bastimento vivo.

Non cercavo un nome. Eppure qualcosa si è messo in moto. Un pensiero, un paesaggio, un sentire profondo e quella parola è arrivata. Chiara, precisa.

Mi parlava di quei momenti in cui qualcosa parte, senza clamore. Di quando senti che sei salita a bordo di un movimento più grande, che non sai dove ti porterà, ma a cui vuoi restare fedele.

Non è un concetto. È un’immagine viva.

Un bastimento vivo: non un mezzo, ma un’intenzione. Un viaggio fatto di legami, voci, stirpi, decisioni sottili.

Ecco cosa intendo quando parlo di nominazione del reale. È un gesto poetico e percettivo. Un modo di abitare il mondo con sguardo aperto.

E, per me, è diventata una vera e propria grammatica del reale: una pratica, un’etica, una forma di relazione.

E tu?

Hai mai sentito una parola apparire dentro di te, come se il mondo stesso volesse essere nominato?

Se ti va, raccontamela. Oppure, prova semplicemente a notare quale parola oggi ti cerca.

Le parole che appaiono non servono a spiegare. Ma a far fiorire quello che riesce a tenerci vivi.

Lieti momenti

GIada

Per saperne di più

Scopri di più sulla grammatica del reale

Oppure scrivimi, se vuoi approfondire insieme questa pratica.

Nominare è creare un legame: con un istante, una voce, il mondo

Nominare il reale non è descrivere ciò che si vede, ma è accorgersi che qualcosa ti ha chiamata. Che una presenza — minuscola, silenziosa, quasi invisibile — ha bussato, chiedendoti di essere accolta nel linguaggio.

Nominare è rispondere a questo richiamo. Non per dare un nome qualunque ma per lasciare che la parola giusta possa apparire. Come un’immagine. Come un fiore che si apre da solo, se sai stare in ascolto. È un’attitudine. Una postura interiore, potrei dire.

Ci sono parole che non si possono inventare, ma ti raggiungono. Come è accaduto con lucciole d’acqua, in un mattino di luce e pioggia intrecciata. O come lampada-bastimento, quando improvvisamente l’atelier si è fatto viaggio, senza sapere dove mi avrebbe portata. O come fiato di confine, quando un respiro è bastato a farmi sentire nettamente il passaggio tra un prima e un dopo.

Queste non sono parole che spiegano: vibrano, fioriscono, si aprono.

Perché ogni parola immagine è un inizio. Non chiude un significato, ma lo spalanca. È il mondo del sottile che si rende visibile, il gesto di nominare come atto di presenza e relazione.

E quando lo si compie, qualcosa cambia. Non solo fuori, ma dentro. Perché dare un nome è un modo di restare. Di riconoscere. Di legarsi a ciò che ci attraversa e ci forma — anche se non lo sappiamo.

Non si nomina il reale per possedere. Si nomina il reale per incontrarlo.

E ogni nominazione è una soglia. Un’apertura che può essere condivisa, abitata, vissuta nel tempo. Una parola che continua a sbocciare. Proprio come un fiore.

Lieti momenti

Giada

Dopo la soglia, la parola

Inizia una nuova fase: l’arte della nominazione del reale

Per mesi ho camminato tra le soglie. Soglie interiori, soglie nei paesaggi, nei luoghi e nei corpi. Le ho ascoltate, attraversate, abitate.

Sono state per me spazi liminari, intensi e fecondi: non luoghi da cui fuggire, ma punti da cui guardare con più attenzione il reale. In quei momenti, qualcosa cambiava: la percezione si affinava, emergevano presenze, intuizioni, gesti quasi impercettibili. E con ogni soglia, arrivava una parola.

Una parola che chiedeva di essere detta. Non per spiegare, ma per riconoscere. Per trattenere ciò che altrimenti sarebbe svanito.

Questa pratica, sottile e potente ho deciso di chiamarla, semplicemente, nominare il reale.

Nominare il reale non significa descrivere ciò che vediamo. Significa entrare in relazione con ciò che ci attraversa e offrirgli dimora in una parola. È un gesto poetico e percettivo, che nasce dall’ascolto e dalla presenza. È come rispondere a qualcosa che ti ha toccato, anche solo per un istante.

Una pigna che cade al momento giusto. Un colpo di vento rivelatore. Un frammento di silenzio che ha sciolto un mistero.

Nominare il reale è un po’ come dire: “Ti ho visto, stai con me”.

Devo dire questa forma di attenzione profonda e condivisa attraversa già da tempo ogni parte del mio lavoro, ma non ero ancora riuscita a dargli un nome. La ritrovo infatti:
• Nel Vocabolario Collettivo della Realtà, dove raccolgo parole donate da persone che raccontano ciò che le attraversa.
• Nei Dipinti Collettivi, dove queste parole diventano immagini, colori e legami visibili.
• Nelle Passeggiate di soglia, dove camminiamo insieme per cogliere gli istanti che meritano di essere salvati.
• Nella scrittura – cartacea e digitale – che raccoglie, intreccia, custodisce.
• E in luoghi come Chesa Altrova, dove la parola diventa spazio abitabile.

Da oggi vorrei quindi iniziare una nuova fase. Una fase in cui la soglia si apre in voce. In cui ogni parola che nasce da un gesto, da un incontro, da un istante vissuto può diventare traccia condivisibile.

È un invito a vivere con più presenza, più delicatezza, più consapevolezza.

Nei prossimi giorni racconterò l’arte della nominazione in tutte le sue forme: esperienziali, poetiche, relazionali. Sarà un viaggio tra parole-mondo, atti minimi e possibilità di restituire senso al nostro stare nel mondo.

Se ti risuona, resta. Potrebbe essere anche la tua voce, questa.

Lieti momenti
Giada

Sogliare: un'arte per abitare il reale

Viviamo in un tempo in cui attraversiamo il mondo spesso senza sentirlo. Le cose accadono, ma non sempre ci accadono davvero. Siamo presenti fisicamente, ma spesso altrove con l’attenzione.

Da questa consapevolezza è nata una pratica che ho chiamato Arte del sogliare. È un modo di stare nel mondo che non dà nulla per scontato, che si ferma dove tutto sembra già noto per scoprire che lì – proprio lì – può esserci un varco.

Una soglia per me è questo: un punto di passaggio in grado di trasformarci. Un dettaglio che interpella. Un incontro che ci tocca. Una parola che apre.

Sogliare non è solo camminare o spostarsi nello spazio. È entrare in relazione viva con ciò che ci circonda riconoscendo che ogni luogo, ogni momento, ogni gesto può diventare un punto di contatto tra noi e il mondo.

Non è una tecnica. È un atteggiamento poetico e partecipativo. Un modo per creare legami tra le persone, le storie, i paesaggi, le memorie, i desideri.

Si può sogliare ovunque. In una città. In un paesaggio naturale. In un museo, in una scuola, in un’azienda o in una comunità. In ogni luogo in cui ci sia voglia di ascoltare, raccogliere, restituire. Anche durante il tragitto casa lavoro. Non occorre avere nulla con sé, basta divenire accoglienza dell'attorno.

Sogliare significa infatti trasformare l’ordinario in straordinario. Mettere attenzione dove l’abitudine tende a scivolare. Creare nuove narrazioni dove sembrava non ci fosse più nulla da dire.

Ogni mio progetto parte proprio da questa intenzione: non spiegare la realtà, ma offrirla da abitare. Raccontarla insieme, intrecciando vissuti, istanti e intuizioni.

Un esempio concreto: Sogliare Bellinzona

Il 12 luglio condurrò un cammino esperienziale nella città di Bellinzona. Non sarà una visita turistica né una performance artistica. Sarà un gesto poetico, una passeggiata di ascolto e raccolta in cui intrecciare il paesaggio urbano con i propri ricordi, emozioni, parole e silenzi.

Ogni partecipante riceverà un piccolo taccuino per raccogliere istanti e una penna speciale. Cammineremo lentamente, condividendo pensieri, lasciandoci sorprendere da ciò che si svela quando si dà valore al passaggio.

Sarà un’occasione per sperimentare cosa significa sogliare. E per ricordarci che, anche nella città che conosciamo a memoria, esistono soglie ancora da attraversare.

Per maggiori informazioni e iscrizioni, clicca qui.

Ma, soprattutto, grazie per Sogliare insieme ogni giorno, nel mondo.

Lieti momenti

Giada

Quando la realtà si fa più densa

Esistono momenti che sembrano diversi dagli altri. Non perché siano necessariamente straordinari, spettacolari o memorabili, ma perché accadono con più realtà. In quegli istanti, qualcosa si concentra, si intensifica: una presenza, un’emozione, una consapevolezza, o anche solo un'armonia. È come se il tempo si contraesse e il mondo smettesse di scorrere distrattamente per mostrarsi per quello che è: vivo, presente, denso di significato. Sono momenti in cui il mondo passa dall'essere sfondo a divenire relazione. Sono i momenti in cui è possibile incontrarsi davvero.

Nel tempo ho cominciato a raccoglierli. Li ho chiamati istanti di estrema realtà. Sono scorci profondi. Soglie. Può essere ad esempio lo sventolare di panni stesi che appaiono all’improvviso tra due case, una frase sentita per strada, un silenzio che si combina con altri pensieri, modificandoli.

Mi colpisce sempre più quanto assomiglino a ciò che alcune culture antiche definivano il sacro. Quando la realtà diveniva significativa, capace di fondare qualcosa. Di dire quella cosa proveniente dalle origini. Dall’Origine.

Il sacro dell'antichità non era un'idea astratta o remota, ma voleva piuttosto essere una modalità dell’esperienza in cui il mondo smetteva di essere muto, illusorio, e si lasciava incontrare. Un po’ come negli istanti, che benché sempre diversi per tutti hanno una qualità comune. Ed è la sensazione che lì, proprio lì, la realtà sia riuscita a farsi più densa, più vera, più tangibile. Persino provenire da più lontano, da molto più lontano.

A partire da questi istanti sono poi nate le parole raccolte nel Vocabolario Collettivo della Realtà, un progetto partecipativo in cui le definizioni non vengono tratte da dizionari ma da esperienze vissute. E sempre da questi stessi frammenti sono emersi i Dipinti Collettivi della Realtà, tele che intrecciano voci differenti in una narrazione visiva condivisa.

Presto sarà inoltre possibile raccogliere questi istanti anche durante delle passeggiate guidate e aperte a tutti. La prima si svolgerà a giugno a Bellinzona. Per chi fosse interessato a partecipare o a ricevere aggiornamenti sulle prossime date, è possibile scrivermi direttamente o iscriversi alla newsletter.

A volte la realtà si mostra da sé. Non serve inseguirla né chiamarla. Arriva in punta di piedi, in un istante qualunque e resta lì, sospesa, in attesa qualcuno arrivi a coglierla.

Lieti momenti

Giada